Un sofferto «post» pubblicato qualche giorno fa su Facebook da Enrico Rava esprime in maniera autorevole e inequivocabile la situazione che stanno attraversando i jazzisti di questi tempi. «Abbiamo bisogno di suonare in pubblico» dice il trombettista italiano. «Non è timore di perdere la tecnica: la pandemia ci dà tutto il tempo che vogliamo per esercitarci. Abbiamo bisogno dello scambio emotivo con il pubblico, perché la musica nasce da lì».
Facendo di necessità virtù, d’altro canto, molti musicisti hanno utilizzato questa pausa forzata per concentrarsi su progetti discografici. Ecco una breve carrellata su alcune novità proposte da jazzisti svizzeri, che speriamo di poter ascoltare presto anche dal vivo.
Won3, Thoughts in the fridge (Fitzcarraldo Records)
Progetto che coinvolge il pianista Dario Carnevale, il bassista Luca Lo Bianco e il batterista Silvano Borzacchiello. Dei tre quest’ultimo è sicuramente il più conosciuto dagli appassionati ticinesi. Nonostante l’uscita in tempo di pandemia, il disco era stato registrato in precedenza e sarebbe inutile cercare nella compostezza e ricercatezza del lavoro qualche traccia di introversione da lockdown. Il disco in effetti ha una sua calma, una sua finezza intelligente, sia nella scelta delle composizioni sia nella realizzazione delle esecuzioni. È un disco senza urgenze, si direbbe, maturato in una bella situazione rilassante di trio «classico». Ottimo il lavoro in punta di bacchette ma sempre pieno di swing di Borzacchiello.f
Federico Monetta, Back to the origins (JFM Lugano)
Il pianista piemontese ormai di casa nella Svizzera romanda ha approfittato della situazione di clausura obbligata per accettare una sfida a cui prima o poi ogni pianista jazz desidera abbandonarsi. Il duello «un uomo da solo contro un pianoforte» corre su un filo: da un lato il rischio è quello di esiti viziati nell’eccesso di ambizione, dall’altro, forse ancor peggio, può sforare nella banalità.
Monetta riesce molto bene a mantenersi sulla saggia via di mezzo, forse grazie alla sua personale predisposizione a un discorso musicale cantabile, melodico, tutt’altro che acrobatico insomma. In filigrana si colgono naturalmente le tracce stilistiche dei suoi maestri, dei grandi interpreti a cui si ispira. Ma sono allusioni molto eleganti: chi ascolta, più che andare a cercare antecedenti o influenze, è invitato a lasciarsi condurre da lui attraverso le complesse atmosfere orchestrate con grande piacere e raffinatezza su uno strabiliante pianoforte Fazioli, il vero co-protagonista di questo album. Ascoltare per credere.
Marco Santilli & Ivan Tibolla, Che roba in due, (Spring Equinox)
Tra i musicisti svizzeri Marco Santilli può aspirare a un primato assoluto: quello della multiformità delle proposte musicali. Il suo clarinetto ma soprattutto la sua passione creativa, la sua inventiva inarrestabile, lo spingono a misurarsi con vari stili e generi musicali. Dalla canzone pop alla musica classica, dal folk moderno al jazz, il suo approccio è sempre pieno di un entusiasmo ben temperato, colorato oltretutto da una carica personalissima di gradevole humor.
«Che roba» è del resto la divertente denominazione di un suo progetto musicale a geometria variabile, che passa dal quartetto jazzistico alla formazione allargata in compagnia del gruppo «Il fiato delle Alpi» e al duo. In collaborazione con il pianista Ivan Tibolla ecco «Che roba» tramutarsi in un’occasione per dar fiato (è il caso di dirlo) a un duo molto originale, raffinato. Non si può probabilmente riferire al jazz questa musica, almeno nell’accezione mainstream. Ma è indubbio che il suono di questo disco è vivo, intenso. «Musica malinconica ma non triste» è il modo con cui Santilli ha descritto lo stile di «Che roba». Forse: adatto al momento che attraversiamo.