Prima di tutti, Chuck

Un omaggio al percorso artistico del mitico chitarrista a pochi mesi dalla scomparsa
/ 16.10.2017
di Enza Di Santo

Charles Edward Anderson Berry, Chuck, ha segnato una parte della storia della musica contribuendo alla creazione del rock&roll, diventando fonte d’ispirazione per i musicisti venuti dopo e simbolo di un cambiamento concettuale. A marzo questa star del rock&roll si è spenta. Nato a St. Louis il 18 ottobre del 1926, quest’anno avrebbe compiuto 91 anni e come celebrare questa ricorrenza se non attraverso alcune sue hit?

Inserito nella lista dei 100 migliori chitarristi di sempre e in quella dei 100 migliori artisti, omaggiato in Pulp Fiction di Tarantino (You Never Can Tell), copiato dai Beach Boys (Sweet Little Sixteen, spunto, si fa per dire, per Surfin’ Usa), è stato una fonte d’ispirazione per i musicisti venuti dopo. E come dimenticare il film Ritorno al Futuro, in cui il personaggio Martin Mc Fly (Michael J.Fox) interpreta Johnny B. Goode facendo il «passo dell’anatra», il Duck Walk, ripreso anche da Angus Young degli AC/DC? Berry si è esibito alla Casa Bianca ed è ricordato nella prima edizione della «Rock & Roll Hall of Fame», tenutasi nel 1986. Una vita spericolata tra donne e galera e una musica dalla formula semplice: adolescenti, ragazze, automobili veloci, rivoluzione in atto e naturalmente rock&roll.

Nel 1955 l’America viveva un cambiamento in cui si sentiva la spinta del «mito americano», ma nel contempo non riusciva a slegarsi dai retaggi culturali coloniali: il razzismo era un sentimento vivo e complesso. A maggio, una vera e propria bomba esplose nello scenario musicale di un’epoca in cui i bianchi facevano musica per i bianchi e i neri per i neri.

Chuck Berry era un uomo di colore che, invece di suonare blues, si era inventato una miscela esplosiva unendo country, hillbilly, jumpblues, hot jazz, boogie e swing, la cui miccia era la sua chitarra elettrica. Maybellene, fu il primo singolo che definì i tratti del rock&roll come nuovo genere, elevando la chitarra elettrica a strumento principale e indispensabile. Chuck era appena diventato la nuova star della Chess Records, dov’era approdato nel 1955 dopo aver conosciuto il grande bluesman Muddy Waters, mentre lavorava a St. Louis in un salone di parrucchiere. Leonard Chess, cofondatore dell’etichetta insieme al fratello Phil, chiese a Chuck di suonare country anziché blues, strano per un ragazzo di colore, ma «A Leonard Chess non importava niente del colore della pelle. Per lui contava solo il colore dei soldi. Se riuscivi a guadagnare tanto da ricoprirti di verdoni, allora non saresti stato più un ragazzo ebreo o un ragazzo negro, ma solo un uomo con la Cadillac» (Cit. Willy Dixon tratta dal film Cadillac Records). E fu proprio così!

Pare che il titolo Maybellene, sia stata una trovata di Leonard Chess,  che trovò sul pavimento dello studio il mascara di una nota marca cosmetica. Brano ispirato al groove di Ida Red, scalò come un fulmine le classifiche radiofoniche arrivando al primo posto, merito anche di dj come Alan Fred che lo trasmettevano ad oltranza.

Stessa sorte per Rock Around The Clock, pubblicata un paio di mesi dopo: rimase in vetta per due mesi grazie allo scandalo causato dal film Blackboard Jungle. Chuck Berry, aveva capito cosa voleva il pubblico e riusciva a farlo ballare.

L’uscita di Roll Over Beethoven, il 16 aprile del 1956, divenne immediatamente un fenomeno culturale. Fu l’istantanea dello spirito e dell’eccitazione del rock&roll, il «manifesto» del cambiamento concettuale che supera le barriere di un’intera generazione. Un omaggio alla sorella Lucy che occupava per ore il pianoforte di casa per studiare gli spartiti di Beethoven e Tchaikovsky, facendo impazzire Chuck. Una risposta alla musica classica dal riff geniale e graffiante su un ritmo incalzante.

Tanto questo pezzo ha segnato la storia che, nel 1977, accanto a Beethoven, è stato spedito nello spazio con la sonda Voyager 1.

«Se volete dare un altro nome al rock&roll, chiamatelo Chuck Berry» affermò John Lennon. Infatti nel 1957 uscì l’emblema: Rock & Roll Music, incarnazione stessa di Chuck. Con uno sfrenato ritmo di rumba, Chuck riusciva a scuotere le persone, raccontando nel dettaglio l’emozione per ciò che suonava. Divenne cover di molti altri artisti e raggiunse le alte posizioni della classifica di «Billboard».

Johnny B. Goode uscì nell’aprile del 1958 quando Chuck era ormai la vera macchina da soldi della Chess Records, che già vantava grandi nomi come Etta James, Little Water, Howlin’ Wolf e Bo Diddley. Il brano narra la storia di un ragazzo di campagna, che con la sua chitarra riesce a farsi strada. Non sa né leggere né scrivere bene, ma nel più classico mito americano, diventa una celebrità del rock&roll. È la prima hit a parlare di fama e divismo, e come confessò Chuck a «Rolling Stone», ha un che di autobiografico, con beneficio di licenza poetica. Infatti, a differenza di Johnny, Chuck non veniva dalla Louisiana, ma da un sobborgo di St. Louis in Missouri. Sapeva scrivere e leggere molto bene, era intelligente, acuto, sdolcinato e dalla lingua tagliente. Con le parole ci sapeva davvero fare, tanto che Elvis Presley, all’epoca sempre in cima alle classifiche tallonato da Chuck, affermò «Vorrei essere capace di esprimermi come fa Chuck Berry»; già, perché a differenza di Elvis Re del rock&roll, i brani li scriveva lui stesso.

L’America era divisa, tanto che cambiò «colored boy could play» in «country boy», per paura che il suo Johnny di colore non venisse trasmesso in radio. Questa è la perfetta espressione artistica di Chuck Berry e del suo ritmo trascinante che corre come un’auto veloce.