Dove e quando: Simone Mengani. Collezioni nascoste. Casa Pessina, Ligornetto-Mendrisio. Orari: sa-do 14.00-18.00. Fino al 23 ottobre 2016. www.museo.mendrisio.ch. 


Preziosi archivi

Nei piccoli ma intimi spazi di Casa Pessina a Ligornetto il ticinese Simone Mengani espone una serie di immagini che ruotano attorno alla conservazione museale
/ 17.10.2016
di Gian Franco Ragno

A Casa Pessina, continuano – dopo Reto Albertalli e Flavia Leuenberger – le contenute ma interessanti esposizioni personali di giovani fotografi ticinesi: quest’autunno è la volta di Simone Mengani (1978), di formazione architetto, con al suo attivo diverse mostre personali e collettive.

Oggetto della sua indagine fotografica sono gli archivi di alcuni musei della Svizzera Italiana (Casa Pessina e Museo Vela di Ligornetto, Museo d’Arte di Mendrisio, il Museo di Villa dei Cedri a Bellinzona e, l’unico con una collezione non artistica, il Museo di Storia Naturale a Lugano). 

Qui egli riprende tutta una serie di oggetti che non sono nelle sale, bensì nei profondi spazi conservativi, nelle zone più nascoste allo sguardo del pubblico. In questi luoghi, riparati e abitualmente senza luce, le opere, i manufatti, gli animali impagliati vivono densamente accatastati e catalogati, nella speranza di guadagnare spazio prezioso. La stretta vicinanza, la quasi una forzata coabitazione contribuisce a far scaturire – nel ritaglio dell’immagine rispetto alla realtà – inediti rapporti e dialoghi tra le parti. Altri elementi che compaiono nell’intenso bianco e nero di Mengani sono gli elementi strutturali (scaffali, armadi a scomparsa «compactus») e i rimandi alfanumerici, le etichette che ne forniscono un nuovo nome e collocazione. 

Ma i depositi, e le fotografie di Mengani, sono, potremmo dire, un pretesto per parlare di altro. Di conservazione, ad esempio – con i suoi costi e le sue esigenze. Di collezioni, e della loro cura, della loro catalogazione e del loro studio quando, tuttavia, sono uno degli aspetti – ed è un dato noto guardando le statistiche – meno attrattivi del museo quando vengono esposti. E, di riflesso, di ciò che il museo, oggi, è costretto a fare, per attirare l’attenzione sempre più labile di un grande pubblico distratto quotidianamente da mille schermi luminosi davanti alla realtà.

Insomma, cosa chiediamo ai musei? Se obblighiamo loro a essere delle macchine che macinano spettatori (con mostre-evento) per staccare il sospirato biglietto, forse sbagliamo obiettivo: le grandi esposizioni e i grossi nomi implicano spese fuori portata – pensiamo solo ai costi assicurativi – sostenibili solo alle potenti macchine turistiche-culturali delle grandi città. 

Perché questo è il paradosso che conoscono i nostri musei: proprio quando vengono chiesti più risultati economici, vengono decurtate le risorse per ottenerli. Certo, a livello cantonale non sono mancate le occasioni perse, i buoni progetti lasciati sulla carta, le politiche non sempre lungimiranti. Così come sono molte, ancora, fortunatamente, le istituzioni che vanno sostenute, valorizzate, conosciute e, soprattutto, visitate. 

Perché non si tratta solo di conservazione o deposito. Ciò che conserviamo è ciò che vogliamo trasmettere – come valori storici e culturali, ovvero, in una parola, la nostra identità – alle future generazioni. Come ci ricorda anche Mengani con una fotografia di un piccolo bozzetto del monumento della battaglia dei sassi grossi di Giornico dello scultore Apollonio Pessina del 1937 – il deposito funge anche come memoria collettiva. 

In attesa di capire, ad oggi, cosa varrà la pena conservare dei tempi attuali.