Per quanto la Svizzera venga raramente nominata nell’ambito dell’eterno dilemma morale relativo alla pena capitale, è giusto ricordare che sono passati soltanto ottant’anni dall’ultima condanna a morte su suolo elvetico; condanna peraltro preceduta, l’anno prima, da un’esecuzione particolarmente importante (e, per molti versi, unica nel suo genere), svoltasi nell’agosto del 1939 a Zugo, per mezzo di una ghigliottina presa in prestito da Lucerna – unico cantone in possesso di un simile strumento. Il condannato, l’appena venticinquenne Paul Irniger, originario del Canton Svitto, era un personaggio quantomeno rocambolesco: talmente peculiare, in effetti, da potersi considerare degno di un feuilleton ottocentesco.
All’epoca della sua morte, Irniger si era già macchiato di ben tre omicidi, al punto da essere considerato da alcuni come un serial killer; ma ciò che davvero distingue la sua carriera criminale è la doppia vita che, con l’abilità di un attore consumato, il confuso giovane condusse per ben quattro anni, prima di essere infine scoperto e catturato. A sua discolpa, si può dire che, fin dall’inizio, Paul crebbe in un’atmosfera non solo di grande povertà, ma anche di palese «irregolarità»: nato a Goldau nel 1913, da bambino dovette affrontare ripetuti attacchi di epilessia e, soprattutto, la caduta in disgrazia della madre, la quale, rimasta presto vedova, aveva aperto una locanda abusiva (priva di licenza federale) insieme al secondo marito.
Quando venne infine arrestato per truffa, il giovane Paul si ritrovò sballottato da una famiglia affidataria all’altra, subendo gli immancabili abusi del caso in un’odissea che avrebbe minato per sempre la sua autostima: anche una volta adulto, non avrebbe mai dimenticato l’umiliazione subita da parte di un prete che, adducendo i trascorsi delinquenziali dei genitori, gli negò la comunione. Ed è probabile che questo ricordo, unito al rifiuto riservatogli dai vari ordini monastici nei quali tentò di entrare nell’arco dell’adolescenza, abbia giocato un ruolo nella scelta della perfetta copertura da impiegare negli anni trascorsi in fuga, come si vedrà a breve.
Certo è che, prima ancora dei vent’anni, Irniger, già divenuto un vagabondo e un piccolo truffatore, era psicologicamente compromesso, al punto da appiccare fuoco all’albergo di Interlaken in cui aveva trovato lavoro e ritrovarsi così istituzionalizzato ad Aarburg. Finché, il 5 dicembre 1933, a Breitenholz, poco lontano da Baar, Paul, in preda a un impulso delirante, uccise il tassista Werner Kessler per derubarlo di sessanta franchi. L’abilità attoriale di Irniger, che si presentò spontaneamente alla stazione di polizia per produrre la sua pistola, ingannerà gli ufficiali, che non lo collegheranno al delitto e lo arresteranno invece per truffa. Ed ecco che, una volta evaso da una prigione lucernese, Paul inizierà a vestire l’abito talare, che gli garantirà una copertura idea-
le, al punto da permettergli di aggirarsi per la Svizzera indisturbato e sfuggire alla polizia, dicendo messa e confessando schiere di ignari parrocchiani in qualità di prete trappista (guadagnandosi perfino gli elogi del vescovo di Coira). Una volta scoperto l’inganno, Paul se la cavò con appena qualche mese di galera, poiché il suo ruolo nell’omicidio di Baar era tuttora ignoto; e in seguito approdò perfino in Ticino, dove fu brevemente rappresentante di aspirapolveri e trovò addirittura l’amore – il tutto senza rinunciare a furti e misfatti vari.
Tuttavia, la resa dei conti era vicina: nel 1937, mentre si trovava a Rapperswil, Irniger venne riconosciuto e condotto alla stazione di polizia. E per quanto inizialmente Paul sembrasse non opporre resistenza all’arresto, le vecchie pulsioni avrebbero preso il sopravvento, spingendolo a sparare ben cinque, fatali colpi di pistola all’indirizzo del poliziotto Alfons Kellenberger. Fuggito verso il lungolago, Irniger finì per ferire a morte anche un autista trentenne intenzionato a fermarlo – il che portò gli scandalizzati passanti ad inseguirlo e catturarlo, consegnandolo infine alle autorità.
Domenica 25 agosto 1939 si sarebbe così compiuto il fato di Paul Irniger, il quale aveva visto sfumare le proprie possibilità di ricorrere in appello a causa di un semplice cavillo burocratico – infatti, all’epoca ogni cantone esercitava leggi differenti in termini di diritto penale; e sebbene proprio quell’estate si stesse esaminando una proposta volta a uniformare il sistema a livello federale, questa non sarebbe entrata in vigore prima del 1942. Tale indugio giocò a sfavore di Irniger, il quale, inaspettatamente, aveva deciso di rivelare il proprio coinvolgimento nell’omicidio di Baar, chiamando così in causa anche il tribunale del Canton Zugo – la cui giuria, però, votò per la condanna a morte, in netto contrasto con San Gallo, da cui Paul era invece stato «graziato» con il solo ergastolo. Irniger rinunciò a presentare una richiesta di clemenza alla corte, sottomettendosi così al fato «per espiare tramite la morte la grave violazione delle leggi divine», come lui stesso affermò.
Ma il particolare forse più incredibile dell’intera vicenda sta nel fatto che, sebbene Irniger rappresenti soltanto il penultimo caso di pena capitale in Svizzera, l’ultimo condannato in assoluto – Hans Vollenweider, giustiziato nell’ottobre 1940 a Sarnen con la medesima ghigliottina – sarebbe stato una sorta di «copycat» del suo predecessore: anch’egli macchiatosi dell’omicidio di un tassista, compiuto ad appena duecento metri dal luogo in cui Irniger aveva colpito, fu condannato per un totale di tre omicidi. Non solo: proprio come era stato per Paul, le sue vittime includevano un poliziotto e un autista – similitudini inquietanti quanto inspiegabili, che danno da pensare. E chissà, forse è vero che, come alcuni ritengono, la storia non fa che ripetere sé stessa – quasi nel tentativo mal dissimulato di lanciarci un segnale, impartirci una qualche lezione che, ahimé, difficilmente noi arriviamo a comprendere.