Ricordo ancora quando mia nonna mi portava al Grande magazzino Karstadt in Hermannplatz a Berlino. Era sempre un evento e Inge mi diceva «qui hanno sempre tutto, troveremo quel che cerchiamo». Era una golosa, adorava le caramelle e i cioccolatini e la prima meta era sempre il reparto con l’angolo dei dolci sfusi. C’era naturalmente anche il ristorante e come da tradizione, dopo le nostre ore di shopping, facevamo pausa pranzo tra risate e cose buone.
Nel periodo natalizio era d’obbligo un giro al KaDeWe, il Kaufhaus des Westens, per ammirare (senza comprare! Troppo cari), gli addobbi e le decorazioni natalizie. Non si andava sempre nei grandi magazzini, solo per le occasioni speciali. Potete immaginare quale meraviglia abbia provato nel leggere i destini della famiglia Thalheim proprietaria dell’omonimo Grande magazzino in Kurfürstendamm, il viale berlinese che tra gli inizi del Novecento e il Terzo Reich ha avuto un periodo di tale splendore che ancora oggi rieccheggiano suoni e voci di quella stagione fortunata.
Qui pullulavano e convivevano in grande armonia caffè di lusso e locali popolari, gallerie d’arte e balere, teatri seri e cabaret. Senza dimenticare i caffè letterari, principale luogo di incontro delle avanguardie intellettuali e artistiche durante il primo trentennio del XX secolo. Uno per tutti il Cafè des Westens all’angolo tra Kurfürstendamm e la Joachimsthalerstrasse. Chiuso nel 1919, i suoi locali ripresero vita nel 1932 con l’insediamento del Cafè Kranzler.
È questo il primo elemento che ho apprezzato del romanzo di Brigitte Riebe, storica di formazione, di casa a Monaco, autrice di numerosi romanzi e gialli. L’attenzione per i dettagli storici e topografici della città. Una vita da ricostruire è il suo primo lavoro uscito in italiano, in questo caso per Fazi editore.
C’è stato dunque un tempo, in cui a Berlino nascevano e crescevano con successo i grandi magazzini. Wertheim, Kaufhaus des Westens, Hertie, erano i templi lussuosi del consumo moderno nati a immagine e somiglianza dei «Department Stores» americani di cui gli imprenditori europei conobbero potenzialità e opportunità alla Columbian Exhibition di Chicago nel 1893. Quella formula per cui in un solo luogo il ceto medio poteva trovare di tutto – dall’alta moda, ai bottoni fino allo spazzolino da denti – piacque e fu importata.
Non solo shopping: nei grandi magazzini berlinesi ci si dava appuntamento, ci si incontrava e si condividevano momenti di piacere e leggerezza. Il primo a Berlino inaugurato nel 1896 fu il grande magazzino Wertheim a Leipziger Platz, a pochi passi da Potsdamer Platz. Non solo contenitori di moda e articoli di vario genere, questi edifici erano dei gioielli architettonici. Quello disegnato da Alfred Messel con le sue facciate gotiche e i grandiosi cortili a lucernario fu un successo.
Il 27 marzo del 1907 aprì il KaDeWe in via Tauentzienstraße a pochi metri dal grande magazzino Thalheim & Weisgerber di cui ci racconta il romanzo. L’idea fu di Adolf Jandorf, già proprietario di diversi grandi magazzini, che con questo volle fare la differenza, creare cioè un tempio del consumo che potesse soddisfare l’elite guglielmina. In poco tempo divenne uno degli indirizzi commerciali più quotati della città, tanto da trasformare la Tauentzienstraße in un boulevard di negozi. A pochi isolati di distanza, intanto, tutto il quartiere attorno alla Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche diveniva un crocevia internazionale. Così in pochi anni la cultura dei grandi magazzini – a partire da Leipzigerstrasse passando per la Tauentzienstraße fino a Kurfürstendamm – conquistò Berlino. Una storia di benessere, moda e successo bruscamente interrotta dal nazismo e dalla Seconda guerra mondiale.
Ma tuffiamoci ora nelle vite coraggiose delle tre sorelle: Rike, Silvie e Florentine. Il primo incontro con loro avviene nella Berlino del 1932, è il giorno della riapertura dei Grandi magazzini Thalheim & Weisgerber dopo le importanti ristrutturazioni e gli ampliamenti. «In piedi nel foyer, Rike rovescia la testa indietro e guarda in alto ma fatica a riconoscerli tanto sono cambiati. Luci così brillanti che quasi l’accecano. Colori, un tripudio di colori». Tutta la famiglia è riunita per il grande evento a partire da papà Friedrich, mamma Alma, zio Carl, zia Lydia, il socio Markus Weisberger e, appunto, le tre sorelle.
La saga si apre in gran festa con ricchi brindisi. Nel 1933 salgono al potere i nazisti che notoriamente odiavano i grandi magazzini, in particolare quelli degli ebrei come Adolf Jandorf o Markus Weisgerber. E se per un attimo l’autrice ci delizia in apertura con scene di vita gioiosa e benestante, un attimo dopo ci catapulta nella Berlino distrutta del 1945. La città è un cumulo di macerie, tra i tanti simboli della disfatta spicca la Gedächtniskirche, chiesa della commemorazione Kaiser Wilhelm, colpita dai bombardamenti insieme a tutti gli altri edifici antichi della piazza. Grandi magazzini Thalheim compresi.
È qui che entriamo nel vivo della trilogia dedicata alle sorelle del Ku’damm, una storia di coraggio, intelligenza, impegno e resilienza femminile. Rike, Silvie e Florentine, sfollate dalla loro villa di famiglia, private di tutto, in un’epoca di stenti ma anche di ricostruzione, si rimboccano le maniche per dare vita a un sogno: riaprire l’attività di famiglia riportando colore, gioia e speranza nella tetra Berlino del dopoguerra con tessuti elaborati e di alta moda.
Tra le prime iniziative importanti delle sorelle Thalheim c’è senz’altro la sfilata, la prima organizzata a Berlino nel secondo dopoguerra. «Portateci gli stracci, ne faremo vestiti» risuona il loro slogan, d’altronde di necessità bisognava fare virtù, stoffe e materie prime scarseggiavano, le persone possedevano poco o niente, ci voleva una moda adatta ai tempi e accessibile a tutte. Silvie, destinata a una carriera in radio, in quell’occasione fa gli onori di casa: «Signore e signori, benvenuti di cuore alla prima sfilata berlinese tra le macerie. Dietro di noi, all’angolo tra il Ku’damm e la Budapesterstrasse, si ergevano un tempo i Grandi Magazzini Thalheim. Purtroppo nel 1943 sono stati rasi al suolo da un attacco aereo, ma come l’araba fenice la nostra nuova moda risorge in tempi di pace».
Al di là delle emozioni, dei personaggi tratteggiati magnificamente, delle tensioni umane e degli intrecci, del protagonismo femminile che mette in luce come non sia più prerogativa degli uomini prendere in mano le redini di famiglia e condurre gli affari, a rendere il romanzo affascinante è la fotografia che Brigitte Riebe ci restituisce della Berlino del dopoguerra fino agli anni Cinquanta. Con le sorelle Thalheim attraversiamo l’intera città dal Ku’damm a Savignyplatz, al quartiere olandese di Potsdam per poi fare un salto alle Freie Universität a Dahlem e ritorno. Brigitte Riebe ci racconta delle tessere annonarie e delle lunghe file per ricevere irrisorie razioni di cibo e beni di prima necessità, oppure delle «Trümmerfrauen», le donne delle macerie, che rimossero le macerie degli edifici nelle città tedesche distrutte dai bombardamenti, per liberare le strade o recuperare i materiali per nuove costruzioni. Non manca il riferimento al processo di denazificazione, l’iniziativa alleata volta a liberare la società, la cultura, la stampa, l’economia, la giustizia e la politica tedesca da ogni resto dell’ideologia nazionalsocialista.
Nella famiglia Thalheim si assiste a uno scontro tra le vecchie e le giovani generazioni, le prime chiedono conto alle seconde dei loro misfatti e delle loro responsabilità. Friedrich Thalheim era stato costretto a entrare nel Volkssturm, nella milizia popolare nazionalsocialista creata per decreto di Hitler agli sgoccioli del Terzo Reich per cambiare le sorti del conflitto. Intanto Rike riuscirà a realizzare il sogno e a salvare le sorti economiche della famiglia grazie al lascito del nonno materno. Lascito che la condurrà a Zurigo dove il nonno si era ritirato vedendo nella Svizzera «l’ultimo paese rifugio sicuro in tutta Europa» e dove incontrerà il grande amore italiano.
Come scrive Ursula März su «Die Zeit», «nei romanzi di Brigitte Riebe accadono molte cose: una svolta fatale attende il lettore a ogni angolo». E come ha confidato la stessa autrice in un’intervista spiegando perché il romanzo sia ambientato a Berlino e non a Monaco «Quale città dopo il 1945 può eguagliare Berlino?» Nessun’altra è così avvincente. Fatto non secondario, Berlino è sempre stata il grande amore di Brigitte Riebe. Come non essere d’accordo? Se amate dunque la storia europea del secolo scorso, i racconti di riscatto e coraggio femminile e non disdegnate i buoni sentimenti, allora questo romanzo – che in Germania ha venduto 200’000 copie e ha scalato tutte le classifiche – vi conquisterà.