Il pamphlet di Daniela Brogi Lo spazio delle donne, edito da Einaudi, ha suscitato un’attenzione significativa in un periodo storico in cui fioriscono libri e riflessioni sui femminismi. Di certo, a favore di questo testo, c’è la facilità con cui lo si legge. L’autrice stessa nell’introduzione dichiara che si tratta di pagine che si possono scorrere in un pomeriggio: «di studio o di festa», ma l’interesse di questo libro non risiede solo nella sua agilità, anzi. È notevole, infatti, che in poche pagine Brogi riesca a condensare, con chiarezza, diversi aspetti fondamentali del dibattito.
La prima cosa messa a tema è proprio il concetto di spazio, che dà il titolo all’opera: Brogi cita, inevitabilmente, il testo caposaldo di Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé e l’episodio in cui Alice Munro, premio Nobel per la Letteratura nel 2013, racconta di aver sentito l’esigenza a un certo punto della sua vita di compiere un atto rivoluzionario: chiedere al marito di avere, all’interno della loro casa, una stanza per scrivere, uno studio.
Lo spazio di cui parla Brogi, però, non è solo un luogo fisico, nonostante non venga negata l’importanza della materialità: avere un posto in cui potersi dedicare al proprio lavoro significa essere nelle condizioni per farlo, non dovere quindi occuparsi troppo di altro, della casa, della famiglia, di tutto ciò che distoglie dall’attività intellettuale. Il modo più interessante in cui Brogi parla di spazio, però, è quando si riferisce alla Storia, sottolineando come le donne siano state estromesse per secoli e che: «non basta fare un corso, una conferenza, una tesi, su un’autrice, se la sua opera non viene restituita allo spazio della storia da cui è stata sradicata e assieme ad esso, alla genealogia culturale e artistica a cui appartiene». Per questo Brogi insiste sull’importanza che le autrici vengano inserite nei manuali scolastici. È come se dicesse che continuare con eventi sparuti che riportano alla luce testi di scrittrici dimenticate, per quanto lodevole, non è un’attività che possa rimarginare la ferita culturale inferta all’umanità, nel momento in cui, secoli e secoli fa, è stato deciso che il pensiero e l’opera artistica delle donne non dovessero prendere posto nell’immaginario collettivo.
Considerando, poi, le donne che sono riuscite a emergere in passato, Brogi si rammarica di come molto spesso sia stato necessario che la loro traiettoria di vita fosse particolarmente dolente e fuori dalla norma, perché potessero affermarsi: «sono state consegnate all’immortalità a condizione di un’eccezionale stranezza di vita e di temperamento, che di fatto le collocava comunque fuori dalla storia, come se l’unica condizione per meritare una visibilità fosse appunto la singolarità da outsider».
Anche per questo, nel corso del testo, all’interno delle pagine più politiche, Brogi invita a riflettere sulla trappola del merito, cercando di sovvertire l’idea diffusa secondo la quale è ingiusto che le donne vengano ammesse alla partecipazione di premi e di concorsi solo in quanto donne: devono meritarlo. L’autrice si domanda infatti se un uomo si lamenterebbe mai di occupare un posto di potere solo perché è uomo e, utilizzando la tecnica del ragionamento inverso, suscita in chi legge una riflessione ancora più interessante: quando sarà finalmente possibile per una donna fare carriera pur restando una persona mediocre? Per quale ragione è ancora necessario essere così faticosamente brave per svolgere delle mansioni che uomini molto meno capaci realizzano da sempre e senza molti affanni?
Nel testo si ritrova una posizione apertamente a favore delle cosiddette «quote rosa» quindi, e non solo, Brogi si scaglia anche contro coloro che invocano la fine del politicamente corretto e accusano le donne di non avere ironia: «la satira, lo sberleffo, il discorso brillante sono voci originali e libere quando mettono in discussione le idee dominanti, il conformismo». Il suo punto di partenza è infatti che il patriarcato è vivo e vegeto, e questo si sa. Ciò che rende interessante questo pamphlet è che Brogi stessa adotta una posizione politicamente scorretta e, si potrebbe aggiungere, proprio da outsider: lo fa quando critica Pasolini e l’articolo che scrisse, pochi giorni prima di morire, sul delitto del Circeo o nel momento in cui dichiara che non per forza un’autrice dimenticata, solo per il fatto di essere donna, è un’artista di valore: «perché bisogna avere il coraggio di dire anche questo: il lavoro di silenziamento, oscuramento, perfino istupidimento delle donne praticato per secoli dalla cultura patriarcale in tanti casi, purtroppo, ha funzionato bene, e irreversibilmente».