Dove e quando

Pierre Casè, arte e grafica tra memoria e oblio, Spazio Officina, Chiasso, fino al 1. maggio 2023. Ma-ve 14.00-18.00, sa-do 10.00-12.00 / 14.00-18.00.

www.centroculturalechiasso.ch

 

 


Pierre Casè tra radici, materia ed essenza

Lo Spazio Officina di Chiasso omaggia l’artista da poco scomparso con una rassegna che lui stesso aveva pensato
/ 10.04.2023
di Alessia Brughera

Pierre Casè è stato senza dubbio uno degli artisti svizzeri più significativi dell’ultimo mezzo secolo. Pochi sono riusciti a lasciare un segno profondo come il suo nella nostra cultura. Intimamente legato alla propria terra, con la sua fecondità creativa Casè ha interpretato appieno lo spirito della nostra regione per farsi portatore di messaggi universali. E lo ha fatto attraverso opere che sono vere e proprie narrazioni di vita, nate da materiali che trasudano la storia e la memoria dei luoghi da cui provengono ma che diventano altresì simboli dell’ovunque.

Casè si è spento lo scorso agosto all’età di settantotto anni e nella sua densa esistenza ha percorso traiettorie originali, ha fatto scelte controcorrente, ha saputo dialogare, disapprovare e osare, forte di un pensiero critico onesto e trasparente che non lo ha mai fatto soggiacere alle imposizioni della società.

Per questo la sua vita di fatiche e sacrifici è stata anche ricca di gratificazioni e riconoscimenti. Da ragazzo vorrebbe iscriversi all’Accademia di Brera ma con la madre rimasta vedova deve rinunciarvi per motivi economici. Casè allora impara sul campo: visita quasi ogni giorno l’atelier del pittore Bruno Nizzola, da cui apprende i segreti dei pigmenti, frequenta lo scultore Max Uehlinger, che gli insegna a plasmare la materia, e affianca il restauratore Carlo Mazzi, da cui impara a recuperare i dipinti antichi, cosicché già dai primi anni Settanta il lavoro artistico di Casè si fa molto intenso, grazie anche all’aiuto del fratello maggiore Angelo, poeta e scrittore.

Pacato ma autorevole e determinato, l’artista ticinese si impegna con passione e competenza anche nella mediazione culturale, rivestendo numerose cariche di spicco nella realtà cantonale e svizzera. Un’attività, questa, che si interrompe nel 2000, quando, dopo un infarto e un grave ictus, Casè decide di concentrarsi sulla propria produzione artistica. Tra i tanti ruoli di prestigio ricoperti ci basti citare la direzione della Pinacoteca Casa Rusca di Locarno, un periodo d’oro in cui l’artista organizza esposizioni memorabili, come quelle che hanno omaggiato Alberto Burri, Antoni Tàpies e Marino Marini.

La rassegna è molto ricca e ben concepita, ripercorre mezzo secolo di attività dell’artista attraverso oltre duecento opere

Uno degli ultimi progetti a cui il maestro ha lavorato nei mesi che hanno preceduto la sua morte è stata la mostra a lui dedicata ospitata in questi giorni allo Spazio Officina di Chiasso: una rassegna che assume un valore ancor più pregnante proprio per il fatto di aver visto la partecipazione diretta dell’artista all’elaborazione del concetto espositivo. Con l’entusiasmo che lo caratterizzava, Casè aveva infatti accettato volentieri di presentare le sue opere a Chiasso, la città in cui nel 1985, presso la Sala Diego Chiesa, aveva tenuto la sua prima personale in uno spazio pubblico.

La rassegna è molto ricca e ben concepita, ripercorre mezzo secolo di attività dell’artista attraverso oltre duecento opere, tra grafiche e lavori materici di diversi formati. Risulta subito evidente quanto la produzione sia indissolubilmente connessa alle sue radici. Il paesaggio e l’architettura della Vallemaggia, infatti, terra di provenienza della madre e frequentata dall’artista sin dalla tenera età, sono stati la fonte d’ispirazione primaria per le sue opere. Questa regione alpina, sotto molti aspetti rimasta ancora rurale e arcaica, diventa per Casè un luogo dello spirito in cui sprofondare per ritrovare le proprie origini. L’artista, in netta contrapposizione alla tendenza comune di quel periodo a spostarsi verso le città, vi si stabilisce negli anni Ottanta lasciando Locarno, per poter vivere quotidianamente questo territorio in prima persona e riuscire così a catturarne l’anima per poi trasporla nei suoi lavori.

Con la Vallemaggia Casè ha stretto non solo un legame figurativo, scaturito da un riferimento costante al patrimonio di immagini a essa riconducibile, ma anche materico, con l’utilizzo sempre più marcato degli elementi naturali o creati dall’uomo che appartengono a questa terra e alla sua storia. Il dialogo serrato dell’artista con l’universo valmaggese dà vita a opere in cui la memoria del passato, con la sua forza prorompente, indica a ogni individuo ciò che vale davvero la pena ricordare.

Sabbia di fiume, ghiaia, gneiss, cera d’api, cenere ma anche filo spinato, catrame, chiodi e lamiere arrugginite sono i materiali che Casè trova nella valle e che porta nel proprio atelier per riconsegnarceli in veste di manufatti artistici che si fanno metafora del trascorrere del tempo. È così che i lavori dell’artista, siano essi dipinti, incisi o assemblati, ci appaiono come icone evocative, lucidamente ancorate alla realtà, che si propongono al nostro sguardo sotto forma di un alfabeto simbolico di segni e di materia capace di ricondurci alla nostra essenza.

Ad accoglierci a inizio mostra è l’opera grafica di Casè, una produzione che non è mai stata presentata al pubblico prima d’ora nella sua totalità e che risulta particolarmente importante poiché accompagna l’artista nel suo intero percorso. In questa inedita sezione della rassegna sono esposte serigrafie, acqueforti e acquetinte che nello stile rivelano i contatti di Casè con le ricerche più all’avanguardia in ambito svizzero tedesco nonché la sua vicinanza a figure di alta levatura, come Alberto Burri. Tra le cartelle grafiche spicca per la grande raffinatezza l’opera dal titolo Tre Crani composta da tre incisioni e da tre poesie di Edoardo Sanguineti, dove i temi della memoria e della conoscenza vengono sviluppati in maniera peculiare, legati come sono alla tragica esperienza dell’ictus vissuta dall’artista.

Di particolare interesse sono le grandi Atmosfere arcaiche, spazi saturi di materia dove Casè fa confluire le suggestioni del suo paesaggio montano, così come i piccoli Ex voto, affollate composizioni dal sapore ancestrale in cui l’artista compendia il sapere popolare, e soprattutto le quattordici stele collocate una accanto all’altra, che con il loro arcano linguaggio composto di segni e di manufatti stratificati emanano un’aura sacrale, trasformandosi in silenziose testimonianze di una saggezza antica da non smarrire.

Imbattersi nell’imponente Bestiario, opera dal forte impatto visivo costituita da dieci pannelli disposti in semicerchio, significa ancora una volta entrare nell’intensità emotiva e nella straordinaria concretezza di Casè: crani umani fissati alla sommità di bastoni e attorniati da lastre di metallo arrugginito e da filo spinato ci ricordano i debiti dell’umanità nei confronti di una natura tradita e ci insegnano come l’arte debba avere un valore etico ancor prima che estetico.

L’artista stesso descriveva il suo fare arte come il tentativo di «raccogliere e narrare la storia variabile e ricorrente di noi che attraversiamo la vita lungo un ideale muro su cui lasciare un’impronta che testimoni e giustifichi il nostro passaggio». E che dia un senso al futuro.