Il successo internazionale con la commedia romantica Pane e tulipani del 2000, con Licia Maglietta e Bruno Ganz in una Venezia magica. E, cominciando da fine anni 80, film come L’aria serena dell’ovest, Un’anima divisa in due, Le acrobate, Agata e la tempesta, Brucio nel vento, Cosa voglio di più, fino a Il colore nascosto delle cose del 2017.
Silvio Soldini, milanese di famiglia ticinese, è da oltre trent’anni protagonista del cinema italiano, fautore di un cinema d’autore che cambia vari generi e toni ma cerca il dialogo con il pubblico. Il suo nuovo lavoro, 3/19, dopo essere passato alle Giornate di Soletta, da giovedì e nelle sale ticinesi. Siamo a Milano: l’esistenza di Camilla (Kasia Smutniak), avvocato d’affari in carriera, va in crisi dopo che, in una notte di pioggia, un giovane immigrato senza nome muore cadendo in moto per evitarla mentre attraversa la strada. Domani (ore 20) è prevista un’anteprima al Cinema Lux di Massagno alla presenza dell’autore. La pellicola è coprodotta da Ventura film e da Rsi e distribuita da Filmcoopi.
Silvio Soldini, 3/19 è il numero del fascicolo dedicato al ragazzo ignoto, perché l’avete usato come titolo?
È un numero, ma diventa anche il nome del morto. E potrebbe essere anche una data. Il numero si svela durante il film e mi sembrava potesse incuriosire. Il titolo nasconde il mistero che Camilla cerca di svelare con la sua indagine.
È necessario un trauma, come nel caso di Camilla, per accorgersi delle cose importanti e cambiare vita?
Spesso è necessario un trauma per mettere in discussione le cose, se no si rischia di procedere per inerzia. All’inizio della scrittura parlavamo di un piccolo grande trauma per obbligare la protagonista a fermarsi: Camilla è una persona dinamica costretta dall’incidente a capire dov’è. Sono i momenti in cui può nascere un germoglio o, anzi, in cui si possono piantare dei semi. Camilla si ritrova sull’asfalto di notte e da quel momento c’è un prima e un dopo. Cercherà di andare avanti e ricominciare, ma con la morte del ragazzo diventa tutto più difficile.
Nel film colpisce che Camilla viva e lavori ai piani alti, mentre l’incidente avviene in strada, e l’obitorio e la mensa dei poveri sono al piano terra.
Il rapporto tra alto e basso era già in sceneggiatura. Lavorando con la scenografa, l’idea si è accentuata. Abbiamo trovato un vero studio legale in un grattacielo e anche il bar in cui si vede con l’amica è in alto, in centro a Milano. Volevo che da casa vedesse le cose dall’alto, come se vivesse lontana dalla strada e dalla vita reale. Scrivendo il film abbiamo approfondito il concetto, non a caso in cantina ci sono le memorie del suo passato. Ci sono tanti simboli e metafore, per esempio l’acqua della pioggia, dell’incubo, del Po e del mare.
Il film è uscito in Italia a novembre in un periodo difficile. Cosa si aspetta dall’uscita ticinese? Uscirà anche nella Svizzera interna?
Per ora esce solo in Ticino. In Italia è uscito in un momento pessimo. Speravamo che la gente tornasse al cinema, invece non lo ha fatto. Il mio pubblico è dai 40 anni in su, ma sono proprio quelli che non stanno andando molto al cinema. Spero che in Ticino vengano a vederlo.
La pandemia e la crescita delle piattaforme stanno cambiando tutto.
Sì, il pubblico è diminuito del 50%. Funzionano solo i grandi film o gli eventi. De Il potere del cane di Jane Campion si è parlato pochissimo, l’ho visto su piattaforma, ma credo che al cinema sarebbe ancora più bello. Negli ultimi anni i film hanno incassato molto meno, persino Tre piani di Nanni Moretti. E se incassano meno, devono costare meno ed è più difficile realizzarli e bisogna farli in poco tempo. 3/19 è su Sky e Prime, ma vederlo in sala è un’altra cosa.
Sono due modi diversi di guardare un film.
Io sono cresciuto vedendo i film al cinema e sono a favore dei cinema. Vi è la ritualità nell’uscire, dedicarci tempo, vedere le luci che si spengono, essere con gli altri al buio e non fare altro che guardare il film. Il peso che gli dai è molto più grande, oltre alla diversa qualità del suono e alla dimensione delle immagini. A casa metti in pausa, mangi, rispondi al telefono, sei distratto, il film è solo un elemento. Chi ha visto È stata la mano di Dio di Sorrentino su uno smartphone non ha visto lo stesso film di chi l’ha visto in sala.
C’è un film a cui è più legato e uno che le sembra non sia stato capito?
Ogni mio film ha un motivo per cui gli sono legato. Pane e tulipani mi ha fatto conoscere nel mondo. Oggi non credo avrei la possibilità di farlo, mi direbbero che Maglietta e Ganz non sono attori da commedia. L’aria serena dell’ovest, il mio primo, fu fatto con il sudore della fronte. È un mestiere strano, artistico e industriale insieme, e ogni pellicola è un prototipo.
Sta già pensando a un nuovo film, anche documentario?
Mi piacerebbe trovare un romanzo interessante, in passato ho fatto solo Brucio nel vento tratto dal libro di Agota Kristof. E forse un documentario sulla violenza domestica, ma è un tema molto difficile da affrontare.