Petites, una sorpresa

Buona la prima di Julie Lerat-Gersant
/ 15.08.2022
di Nicola Mazzi

Spesso, nei festival, le piccole perle, le devi cercare perché sono nascoste e non ammiccano con poster allusivi o grazie a titoli di giornali. Ma quando le trovi, anche se sono ancora grezze e imperfette, ne sei contento. Alla 75esima edizione del Locarno Film Festival mi è capitato con Petites di Julie Lerat-Gersant (nella foto), alla sua prova d’esordio. Il film racconta il difficile viaggio di un’adolescente, Camille (una bravissima Pili Groyne) alle prese con una gravidanza inaspettata e non voluta per la quale, anche a causa di una madre irresponsabile e immatura, deve essere collocata in un Centro di accoglienza per madri adolescenti. Classe 1983 e originaria di Caen, Lerat-Gersant è arrivata tardi al cinema, perché la sua carriera si è finora sviluppata in campo teatrale. In questo film si nota – oltre a una grande forza emotiva, un ottimo controllo sia della materia trattata sia della tecnica usata (aspetti rari nelle opere prime).

Come è nata l’idea?
Ho passato molto tempo nei Centri d’accoglienza per madri adolescenti dove ho coordinato alcuni atelier di scrittura creativa: un’esperienza che mi ha toccata profondamente e mi ha spinta a volerla raccontare.

Come è stato lavorare con delle giovani ragazze?
Davvero appassionante. Hanno molto amato la sceneggiatura che conoscevano alla perfezione. Tra di noi abbiamo parlato molto, sin dal casting, per creare un gruppo che funzionasse al meglio. E quando le chiamavo erano delle frasi del tipo: «Allez les petites, sur le plateau!». Credo che il titolo arrivi appunto anche da quella complicità. Grazie al loro impegno abbiamo potuto anche improvvisare sul set e questo è stato molto importante per il realismo del film.

Come mai l’unico personaggio maschile che emerge è il giovane fidanzato della protagonista?
Sono partita da un nucleo centrale che è il binomio figlia-madre, un connubio molto chiuso e dannoso per la ragazza. Un legame che solo un elemento esterno come il fidanzato poteva rompere. Ecco, lui ha appunto questo ruolo e mi piace il fatto che non sia il solito maschio alfa o un bad-boy, ma è un giovane solare, modesto e presente malgrado tutto. È la mia speranza per un futuro migliore.

Ci sarà un seguito a Petites?
(ride) No, non credo, ma mi appassionano i legami famigliari. Con calma, visto che ho terminato Petites a giugno, sto già pensando ai miei prossimi progetti che si baseranno su questo tema.

Lei arriva dal teatro, come è stata la sua prima esperienza sul set?
Bellissima e da ripetere. Questo è un piccolo film con un budget da 1,2 milioni di euro e una troupe limitata. Limiti che hanno comportato una grande fase preparatoria.

Il film ha un altro fil rouge, più sotterraneo, la musica elettronica. Qual è la sua funzione?
Mi fa piacere sottolineare questo aspetto perché la colonna sonora è creata da Superpoze. Una band normanna come me che amo molto: hanno potuto adattare la loro musica sia ai luoghi, che conoscono bene, sia ai vari stati d’animo della protagonista, che mutano di minuto in minuto.

Secondo lei esiste una Nouvelle Vague del cinema femminile francese?
Credo di sì e me ne compiaccio. In questo momento molte registe, sceneggiatrici e tecniche si stanno facendo strada in un campo che storicamente è stato molto maschile. Ciò comporta, oltre a una visione diversa della realtà, l’analisi di temi differenti come quello del mio film. È davvero un bel momento che dobbiamo cavalcare, proprio come un’onda.