Per un’arte che tenda all’idea

Trattati - Pietro Bellori fu antiquario, bibliotecario, erudito e pittore
/ 15.02.2021
di Gianluigi Bellei

Giovanni Pietro Bellori (Roma 1613-1696), figlio di un piccolo agricoltore, viene allevato dallo scrittore, collezionista e antiquario Francesco Angeloni. Probabilmente studia pittura con il Domenichino intorno al 1635 e nella sua bottega diventa amico di Giovanni Angelo Canini. L’unica sua opera d’arte che si conosce è una piccola incisione della serie Scherzo dei paesi dello stesso Canini. Alla morte dell’Angeloni eredita la sua grande casa e tutti i suoi beni. Testamento contestato dagli eredi. Inizia quindi a collezionare arte con opere di Tiziano, Tintoretto, van Dyck, Annibale Carracci e Carlo Maratta. È attivo nell’Accademia di San Luca e tiene stretti legami con l’Académie de France a Roma aperta nel 1666. Nel 1689 diventa Membro onorario dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture di Parigi come «peintre, conseillerarnateur». È pure antiquario del Papa e dal 1670 commissario delle antichità di Roma e infine bibliotecario e antiquario di Cristina di Svezia.

Il suo libro più importante – oltre alla Descrizione delle immagini dipinte da Raffäelle d’Urbino nelle camere del Palazzo Apostolico Vaticano pubblicato nel 1695 – è Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni del 1672. Nella prefazione è annunciato un secondo volume con, tra le altre, le vite di Francesco Albani, di Guido Reni e dell’amico Carlo Maratta, che purtroppo non viene pubblicato. Il manoscritto si trova nella Biblioteca municipale di Rouen ed è stato stampato solo nel 1942. Le Vite si aprono con il suo discorso pronunciato all’Accademia romana di San Luca la terza domenica di maggio del 1664 intitolato L’idea del pittore, dello scultore e dell’architetto scelta dalle bellezze naturali superiore alla natura. Testo di riferimento per le future generazioni con citazioni da Plinio, Vitruvio, Platone… Ed è proprio a quest’ultimo che si rifà riprendendo il suo concetto di «idea». Platone ritiene che ci sia una separazione fra due mondi: quello ideale, eterno, invariante, e quello empirico, instabile mutevole. Le idee sono per Platone enti ideali, soggetti autonomi e i «predicati universali, del tipo giusto e bello, costituiscono nuclei di significato unitari e invarianti», scrive Mario Vegetti.

Per Bellori l’arte deve tendere all’Idea e non copiare la natura. Cita Cicerone il quale afferma che Fidia scolpendo Giove e Minerva non contemplava nessuna figura ma la bellezza che vedeva nella sua mente. Zeusi ha bisogno di cinque vergini per rappresentare Elena. Leon Battista Alberti sceglie da diversi corpi bellissimi le parti migliori. Per Raffaello dipingere una bellezza richiede vedere molte belle. Far «gli uomini più belli di quello che sono comunemente ed eleggere il perfetto conviene all’idea», chiosa Bellori, «ben può dunque chiamarsi quest’idea perfezione della natura, miracolo dell’arte, providenza dell’intelletto, esempio della mente, luce della fantasia, Sole…».

Le Vite contengono una scelta ristretta di artisti: solo dodici, contrariamente a quelle più numerose del Vasari, e un’elaborata descrizione delle loro opere. Sono Annibale e Agostino Carracci, l’architetto Domenico Fontana, Federico Barocci, Caravaggio, Pieter Paul Rubens, Antoon Van Dyck, François Duquesnoy (il fiammingo), Domenichino, Giovanni Lanfranco, lo scultore Alessandro Algardi e Nicolas Poussin.

Le Vite, lunghe e dettagliate, contengono una summa del suo pensiero che mette in contrapposizione il manierismo, col suo lavorar di pratica e il naturalismo, con la sua servile imitazione della natura impersonificato dal Caravaggio, agli artisti che perseguono l’ideale classicista: i Carracci. Colui che perfeziona i concetti di Annibale Carracci e incarna l’idea del Bellori è il suo amico pictor philosophus Nicolas Poussin, francese, amante di Roma e dell’antico. Ed è proprio a Parigi il centro del classicismo che diventa la teoria ufficiale dell’Académie Royale de Peinture et de Sculpture fondata nel 1648 e diretta per un ventennio da Charles Le Brun. La dottrina del grand goût, il gusto ideale, che viene promossa dalla monarchia e dal potente ministro Jean-Baptiste Colbert al quale sono dedicate Le Vite. Poussin incarna questo gusto.