Bibliografia
Isabelle Stengers, Résister au désastre, Wildproject 2019, pp. 86


Per una ricerca scientifica più libera

L’interessante punto di vista della filosofa scienziata belga Isabelle Stengers
/ 16.03.2020
di Laura Marzi

La questione climatica è diventata di dominio pubblico, ne parlano i telegiornali, dandone talvolta una visione distorta. Esiste un movimento di giovani e giovanissimi attivisti che organizza ogni anno una mobilitazione: il Fridays for future, di cui sono in molti a ignorare le ragioni, ivi compresi alcuni che aderiscono allo sciopero. Si tratta infatti non solo di una tematica la cui importanza non è ancora chiara a tutti, la questione ambientale sfugge anche a causa della sua complessità: in essa si mescolano infatti temi scientifici, politici, sociali e le cose difficili di questi tempi non vanno proprio di gran moda. O forse è sempre stato così.

Il testo di Isabelle Stengers Résister au désastre ha tutto l’aspetto e gli effetti di un buono strumento: è agile, breve, è stato scritto sotto forma di intervista e a porre le domande è una giovane ricercatrice ventottenne, Marin Schaffner. Il merito maggiore, però, di questo «librino» è il punto di partenza dell’autrice: Isabelle Stengers scrive dell’ecologia non come se si trattasse di una questione alla ribalta, perché foriera di problemi, minacciosa, fonte plausibile di disastri e distruzione. La inserisce, invece, all’interno della filosofia. L’ecologia è infatti descritta in questo testo come una branca dell’etica, per questo la chiama «eto-ecologia». Un comportamento che si fonda su un principio fondamentale, spesso evocato, ma a cui non viene ancora mai davvero dato uno statuto riconosciuto: l’interdipendenza.

In primo luogo, allora, per Stengers, l’ecologia si fonda sulle relazioni di interdipendenza che uniscono tutti gli essere viventi e non, mentre l’inquinamento, se vogliamo trovare un termine seppur parziale che rappresenti il contrario di ecologico, si fonda sulla dipendenza. Si tratta di un’idea che in apparenza è tanto astratta, quanto invece è chiara. La dipendenza a cui sono costretti i contadini che sono stati forzati dalle multinazionali alle monoculture è inquinamento, è danneggiamento della natura. La dipendenza dai carburanti fossili, che oggi non ha altre ragioni se non il continuo arricchirsi di chi possiede il petrolio… L’elenco a partire da questa chiave di lettura potrebbe essere infinito.

Una dipendenza in particolare è tra i temi che stanno più a cuore all’autrice: quella della società occidentale dalle scienze intese come luoghi di sapere stagni, impenetrabili, focalizzate sul proprio oggetto di studio. Anche in questo caso l’evidenza di questa conclusione così rivoluzionaria – nessuno osa mai mettere in discussione il sapere scientifico – è lampante. Se la ricerca scientifica non fosse organizzata secondo le modalità descritte, di chiusura ermetica tra una disciplina e l’altra, non sarebbe stata creata la bomba atomica, ci fa riflettere Stengers. Le scoperte nell’ambito della fisica molecolare in una società in cui le scienze dialogano fra loro non avrebbero mai potuto condurre alla costruzione di un ordigno di distruzione di massa, perché ci sarebbe stata un’etica, un’interdipendenza, appunto, che lo avrebbe impedito.

Visioni di questo tipo tanto nette quanto rare sono disseminate nel libro che ci ricorda, in fondo, quanto la questione ecologica sia una questione politica: come possiamo immaginare di curare il nostro pianeta se le relazioni tra i popoli che detengono il capitale e quelli che lavorano per essi continueranno a essere improntate alla sola logica del profitto? Il nostro sistema economico, il neoliberismo, si basa infatti sull’idea che sia necessario avanzare, nel senso di progredire verso una ricchezza maggiore a qualsiasi costo: ogni ostacolo a questo obbiettivo deve essere quindi abbattuto. Per questo vengono distrutte le foreste, vengono annientati i popoli come gli aborigeni d’Australia che sapevano come fronteggiare per esempio gli incendi che hanno devastato in queste settimane la loro terra.

L’ecologia è una questione politica, allora, e questo era già abbastanza chiaro a chi se ne interessa, anche da lontano, ma Stengers fa un passo ulteriore e la definisce come una questione di politica delle relazioni: sociali, fra le discipline, fra gli essere viventi e con gli oggetti inanimati. Ed ecco perché la questione è così grave, importante, talmente che non ci piace occuparcene e invece non abbiamo altra soluzione che quella suggerita dalla filosofa francese che cita a sua volta Donna Haraway: stay with the trouble. Non ha senso sognare un finale felice, ma affrontare la realtà per quella che è: non uccidere i lupi, insomma, ma neanche dimenticarsi degli allevatori.