All’inizio, leggendone il titolo o le prime pagine possiamo ancora chiederci se l’argomento non sia un po’ marginale. Andando però avanti, affrontando i capitoli più strettamente filosofici e i rimandi storici e politici del libro, ci accorgiamo che Peter Sloterdijk ha fatto molto bene a dedicare il suo nuovo saggio a un colore tanto discreto come il grigio. Wer noch kein Grau gedacht hat, si intitola così la nuova opera (di 286 pagine, pubblicata da Suhrkamp) del filosofo tedesco. Chi ancora non ha pensato il grigio, dunque. «Non è certo il colore dell’empatia o che di primo acchito ci stia simpatico», inizia a spiegarci Sloterdijk, 75 anni appena compiuti, nel suo ufficio a Berlino. «Il grigio è un mix di luci ed ombre e, come lo ha definito il grande pittore Gerhard Richter, “il colore dell’indifferenza”».
Già qui, riflettendo su mix cromatico e tonalità dell’Indifferenza percepiamo le prime «vibrazioni metafisiche», come le chiama Sloterdijk, che rimandano sia alla dimensione della Epochè, di scettica memoria, sia al modo in cui Martin Heidegger introduceva al mondo della filosofia. «L’epochè dello scetticismo, precisa Sloterdijk, è il tentativo di metter fra parentesi i più forti impulsi vitali. E d’altronde la metafora a cui Heidegger ricorreva spesso per introdurre al discorso della filosofia era la grigia nebbia che copre il mondo». In realtà, è il suo spiccato interesse per l’arte e la letteratura che hanno svegliato via via in Sloterdjik l’interesse per il tema del grigio. «Il primo impulso a pensare a una filosofia del grigio, ammette, mi è venuto da un’intuizione di Paul Cézanne, secondo cui non è un pittore chi ancora non abbia dipinto in grigio». E poi i romanzi, di cui il filosofo è un accanito lettore. «La spinta definitiva me l’ha data Le anime grigie di Philippe Claudel, oscuro racconto sull’assassinio di una bambina in Francia, nell’inverno del 1917».
Ed ecco il lato inquietante, se non angosciante di questo fatale colore, che così spento non può essere se ci turba tanto. Non per niente è uno dei testi più classici e più letti della filosofia che impatta subito, e in una dimensione mitologica, con il grigio: il mito della caverna, nel 7° libro della Repubblica di Platone. «Quella di Platone è una delle critiche più dure alla consistenza delle percezioni quotidiane, spiega lo scrittore, per lui tutto ciò che vediamo non sono che “Skia”, ombre all’interno della caverna dei nostri corpi». E le ombre notoriamente sono grigi fantasmi.
«Le vicende politiche del 20esimo secolo, riassume Sloterdijk, sono contrassegnate dal progressivo spostamento dal rosso fuoco al grigio»
Già, ma come mai i filosofi, sino a Wittgenstein incluso (che pure alla psicologia dei colori ha dedicato belle pagine), non si sono mai interrogati «sul valore cromatico delle ombre stesse, si chiede Sloterdijk, sulla traccia di grigio inerente al lavoro del pensiero stesso?». Sono d’altronde questi i termini di un’altra scena-madre e densamente concettuale della riflessione filosofica: la famosa Vorrede, la Prefazione alla «Filosofia del diritto» di Hegel. Lì dove il genio dell’idealismo tedesco annota che la filosofia «disegna grigio su grigio», e che il filosofo elabora le sue idee al tramonto, con «la nottola di Minerva… sul far del crepuscolo». «Agli occhi di Hegel, commenta Sloterdijk, la realtà appare come un concreto “cemento”, grigia stratificazione di materiali diversi, che il filosofo deve modellare in concetti». Per far questo ha bisogno evidentemente di tempo, motivo per cui la filosofia arriva sempre tardi, al calar della sera e muovendosi quindi fra grigie ombre (e quando è già tardi, se non inutile, agire sulla realtà). È l’esatto opposto del messaggio sul grigio che Heidegger ha sviluppato sin da Essere e Tempo, la sua opera del 1927. Dove grigissime sono le paure e le preoccupazioni per le cure giornaliere in cui è avvolta e coinvolta sempre tutta la nostra esistenza. «Heidegger, spiega Sloterdijk, lega la filosofia a una base quotidiana e non alle idee di Platone o di Hegel. Filosofia è per lui immersione nella vita di tutti i giorni in cui ci scopriamo degli animali profondamente grigi, sempre a metà strada fra il passato e le ansie per il futuro».
È questa indecisa situazione di stress fra passato e futuro (i desideri, le speranze e illusioni) che nel saggio di Sloterdijk ci riporta al passaggio così transitorio e profondamente umano del «Purgatorio», al centro quindi della Divina Commedia di Dante. «Con quel suo cantico nella zona intermedia fra i gironi dell’Inferno e i cieli del Paradiso, precisa Sloterdijk, Dante insegna che l’uomo è una creatura del Centro, che può aspirare a un viaggio di espiazione nel Purgatorio, con cui, come ha ben visto Le Goff, Dante imprime nuova dinamica alla vita medievale». Iniettando per così dire più «zone di grigio» nella prassi quotidiana all’inizio dell’era moderna. Se la vita infatti non è più determinata solo dal fuoco infernale né ancora dallo splendore paradisiaco, diviene allora «la dottrina stoica dell’adiafora che riemerge con il Purgatorio dantesco, una più equilibrata “indifferenza morale” verso i beni terrestri, siano statue, cibi o amori, che ci esorta a non idolatrarli, a non soccombere né esagerare col loro godimento».
La dimensione etico-politica del Grigio è tutta qui, un salubre invito a non esagerare con i toni troppo forti della vita, né con le ideologie (rosse o nere) che hanno devastato il Ventesimo secolo. «Le vicende politiche del 20esimo secolo, riassume Sloterdijk, sono contrassegnate dal progressivo spostamento dal rosso fuoco al grigio. Rosso è il colore della rivoluzione d’Ottobre e delle dittature del proletariato. Non dimentichiamo che, a differenza di quelle nere dei fascisti, anche le bandiere dei nazisti erano rosse con la svastica nera al centro».
Quale il messaggio allora che Sloterdijk consegna a noi perplessi nell’era digitale e globale, di fronte al rigurgito di nuovi populismi e sovranismi e a guerre disumane? «Di ascoltare, ci risponde lui, le vibrazioni più moderate che emanano dal grigio». Anche e specialmente nella più cruenta arena della politica. A Gramsci che, nel 1917, scriveva «odio gli indifferenti… vivere vuol dire essere partigiani», Sloterdijk risponde di «spengere il furore ideologico, e di apprezzare le nuance di grigio che le nostre società liberali e democratiche ci offrono con vari modelli di vita, e deporre quindi le armi degli estremismi ideologici e delle “lotte continue”».
Era questa la geniale intuizione di Cézanne quando sosteneva che non è un vero pittore chi ancora non abbia dipinto in grigio. Come non è un politico, o un filosofo, per concludere con Sloterdijk, «chi ancora non abbia scoperto il bel carattere morbido e temperato del grigio».