Dove e quando

Concerto inaugurale della nuova stagione OSI al LAC giovedì 29 settembre alle 20.30


«Per me la musica è un invito a guardare la realtà»

Michele Mariotti, direttore Musicale del Teatro dell’Opera di Roma, inaugura la nuova stagione dell’OSI al LAC
/ 19.09.2022
di Enrico Parola

Una forza che nasconde fragilità. Così è la prima sinfonia di Brahms per Michele Mariotti (nella foto), chiamato sul podio dell’Orchestra della Svizzera Italiana a inaugurare la nuova stagione assieme a Marc Bouchkov, solista nel Primo Concerto per violino di Prokof’ev.

Mariotti divide la sua agenda tra concerti e lirica: «Sono complementari non solo perché permettono di variare il repertorio, ma perché un ambito aiuta l’altro»

Quello luganese è un capitolo dell’intenso momento che sta vivendo il 43enne maestro italiano, atteso a un’altra importante apertura a Roma, quando alzerà il sipario dell’Opera romana con i Dialogues de Carmelites di Poulenc. «Sto vivendo artisticamente un periodo intenso e bellissimo, dove raccolgo i frutti di un percorso lungo; penso soprattutto agli anni vissuti al Teatro Comunale di Bologna, che mi hanno fatto crescere». La parabola personale si intreccia inevitabilmente con la storia più generale: «Dopo la pandemia è arrivata la guerra e si ripropone la domanda: ha senso fare musica? Io ovviamente rispondo di sì, ma non perché ritenga la musica una medicina che risolve la situazione, perché non è la soluzione dei problemi; e non voglio neppure vivere la musica come una mera parentesi che ci faccia distrarre, divertire o sbattere gli occhi per una serata. Per me la musica è un invito a guardare la realtà e un aiuto ad affrontarla prima ancora che capirla; pochi giorni fa sono tornato a dirigere la Messa da requiem di Verdi e mi è sembrato un percorso a ritroso dove il punto di partenza è la morte, il senso della fine. Oppure pensiamo a Mozart: nel finale de Le nozze di Figaro il «Contessa, perdono» ha una tale totalità umana da metterci davanti ciò di cui oggi abbiamo davvero bisogno; il controcanto dell’oboe nel duetto tra Fiordiligi e Ferrando nel Così fan tutte esprime meglio di ogni possibile parola la fragilità di un dramma affettivo».

Per Mariotti il cuore della prima sinfonia di Brahms è il secondo movimento: «Un vero e proprio trattato filosofico, una dialettica ininterrotta sulla fragilità umana dietro un’apparenza più accomodante. Domina una poetica dolcezza, ma a Brahms basta contrappuntare la melodia principale con una frase di viole, fagotto e clarinetto per intesservi un dolore lacerante, seppur non urlato; per questo parlo di una forza, di un’evidente energia sotto cui si nasconde una profonda fragilità». Per far emergere questa dicotomia è necessario «trovare un bilanciamento tra la cura del dettaglio e la visione generale. Riprendendo la partitura dopo anni, ho riscoperto quanto Brahms sia generoso e puntuale nelle indicazioni: più volte aggiunge “dolce” a “piano”, i “forte” sono distinti dai “fortissimo” e dai “mezzoforte”, è evidente che l’autore cerca una varietà perché le diverse indicazioni si susseguono con frequenza. Ogni momento è così intenso e bello che c’è il rischio di innamorarsene troppo, indugiarvi dimenticando che è parte di un tutto; di contro, la perfetta unità della sinfonia, dalla potenza dell’inizio al trionfo del corale nell’ultimo movimento, hanno una struttura così trascinante che c’è la tentazione di correre e non accarezzare adeguatamente tutti i momenti di cui tale forma si compone».

Mariotti divide la sua agenda tra concerti e lirica: «Sono complementari non solo perché permettono di variare il repertorio, ma perché un ambito aiuta l’altro. Nella sinfonica chi suona è sul palco, deve essere protagonista, non si può nascondere in buca e lasciare le luci della ribalta ai soli cantanti, per questo un concerto sollecita in modo particolare la responsabilità. La lirica insegna ad ascoltare perché è la forma di spettacolo più complessa e ricca di variabili: i cantanti possono essere raffreddati, inciampare, faticare dentro vestiti di scena pesanti; così la lirica insegna agli strumenti e alle sezioni ad ascoltare il resto dell’orchestra».

Si dice che le orchestre italiane, abituate alla lirica, abbiano un senso della melodia più accentuato rispetto alle compagini mitteleuropee, che invece marcano maggiormente la profondità armonica e la pastosità timbrica. L’OSI è sicuramente una formazione focalizzata sul repertorio sinfonico, seppure dal Barbiere di Siviglia alla Traviata di inizio settembre stia iniziando a frequentare la lirica. «Certo, una disposizione, un’abitudine naturali ci sono – non molto tempo fa la stessa osservazione me la fece un membro dei Wiener Philharmoniker mentre eravamo su un bus – però la mia esperienza mi insegna che al fondo è una questione di lavoro e l’aspetto decisivo è la qualità dell’orchestra. Se non si ha tempo per provare e si va sul palco i musicisti suonano come sono abituati, quindi i tedeschi “alla tedesca”; per questo quando, anni fa, mi proponevano di dirigere a Monaco, Vienna o Berlino delle riprese di opere senza provare ho sempre rifiutato, rispondendo che avrei accettato solo nuove produzioni, non per superbia, ma perché volevo fare un lavoro serio. E così è stato, le chiamate sono arrivate e sono arrivati anche grandi risultati; ricordo una recente Semiramide di Rossini alla Staatsoper di Monaco, con un suono sinceramente “italiano”, o altre splendide esecuzioni a Vienna o Berlino».