Armin Hofmann, che compirà cento anni il prossimo 29 giugno, è stato uno dei maestri svizzeri a livello internazionale della grafica del Novecento. Mi sembra l’altro ieri quando lo incontrai per la prima volta di persona in un’aula della Scuola di Arti e Mestieri di Lucerna. Erano i primi anni Settanta e mi trovavo nella «Città del leone morente» perché inviato dal Canton Ticino a un corso di aggiornamento per gli esaminatori dei grafici. Di Hofmann mi era rimasto impresso il simbolo visivo che aveva disegnato per l’Expo del 1964 a Losanna.
Ho poi vissuto sessioni interessanti partecipando come membro di alcune giurie insieme all’autorevole collega Armin. Una volta incrociai Hofmann sul sentiero che porta a Negrentino mentre accompagnava alcuni studenti ad ammirare una delle più belle nostre chiese romaniche. D’estate, per diversi anni aiutato dalla moglie nell’organizzazione, Hofmann ha tenuto corsi estivi di graphic design in quel di Brissago per giovani allievi americani. Mentre un altro «mito» della grafica svizzera a livello mondiale – Herbert Leupin (1916-1999) – soggiornava in quei pressi, frequentando ogni tanto il famoso «Giardino» di Angelo Conti Rossini.
Nato a Winterthur nel 1920, come molti altri grafici di quel tempo, Armin Hofmann si era avvicinato a questa professione partendo da un semplice apprendistato, nel suo caso, di litografo. Quando si dice… «il mestiere»…!
Prima di approdare a Basilea, e fondare la sua classe insieme al famoso tipografo Emil Ruder (1914-1970), aveva insegnato alla Kunstgewerbeschule di Zurigo: l’altra importante scuola di «arte applicata» esistente allora nel nostro Paese. Hofmann ha pure tenuto corsi quale professore invitato in diverse prestigiose università statunitensi. Una su tutte quella di Yale per la quale disegnò pure il logo.
Lo CSIA negli anni 60-70 era diretto da Pietro Salati che da Hofmann a Basilea inviò il promettente giovane Lulo Tognola per perfezionarsi. Lulo sarebbe poi diventato a sua volta insegnante di grafica al Centro Scolastico per le Industrie Artistiche. Ma allora, e per ancora almeno due o tre decenni, in quelle scuole si disegnava ancora, e a mano!
Si veda in internet la quantità di lavori realizzati da Hofmann, per non parlare del già citato Leupin. Sintesi, immediatezza, coerenza delle forme. E pensare che gli strumenti di allora erano – oltre alle mani – semplici matita, penna, pennello, riga, compasso, forbici, colla e taglierino. Con magari il supporto di un po’ di fotografia… Ma quanta razionale inventiva e chiarezza di linguaggio in quelle opere. Nate da intelligente creatività, nutrita a volte anche di poesia. Da parte di Hofmann poi quasi solo attraverso l’uso del bianco e nero.
Sembra trascorso più di un secolo da quando intorno alla metà del Novecento la grafica svizzera si era affermata per la sua qualità in tutto il mondo. Poi, dagli USA, cominciarono ad arrivare televisione e marketing. Fu l’inizio della fine.
In un’intervista rilasciata a «laRegione» (12.2.20) in occasione di un prestigioso «premio alla carriera» da lui recentemente ricevuto a Madrid, Bruno Monguzzi affermava: «nel nostro mestiere sta emergendo un approccio che potremmo definire squisitamente artistico – cosa mai esistita, almeno fino a qualche decennio fa».
Mi sembrano parole che ben riassumono cosa sta succedendo nella nostra realtà quotidiana: una grande confusione. E non solo nel visivo, ma in tutta la comunicazione mediatica. Materia sulla quale vi sarebbe da riflettere seriamente. Affinché, oltre a un passato, possa esserci anche un futuro…