Pennetta, per ridare voce a chi l’ha persa

Il regista Michele Pennetta, che avrebbe dovuto presentare il suo nuovo film a Visions du Réel, da sempre si china sulla valenza e sul significato del corpo
/ 22.06.2020
di Muriel Del Don

Malgrado la pandemia di Covid-19 abbia inevitabilmente condizionato tutta la scena culturale svizzera e internazionale, questa non è però riuscita a fermare il giovane regista italiano ma svizzero d’adozione Michele Pennetta. Il suo ultimo film Il mio corpo, prodotto dalla Close Up di Ginevra (capitanata dalla carismatica Joëlle Bertossa) che gli è sempre stata fedele, può infatti già vantare al suo attivo la selezione in due festival di alto livello e indiscussa fama: Visions du réel di Nyon e il Festival di Cannes.

Il mio corpo doveva debuttare in aprile a Visions du réel, nella Competizione internazionale lungometraggi, questo prima che il mondo si mettesse in modalità standby. Non potendosi svolgere come di consueto sulle sponde del Lago Lemano, tra le stupende mura di Nyon, Visions du réel ha dovuto reinventarsi proponendo un’inedita edizione online che si è rivelata un successo. Comprensibile è stata l’ansia dei registi che, confrontati con questa situazione a dir poco inaspettata, non sapevano sotto quale forma i loro film sarebbero stati presentati al pubblico e ai professionisti del settore cinematografico. Tra questi ritroviamo Michele Pennetta che ha comunque accettato di far debuttare la sua ultima fatica proprio a Visions du réel. La scelta si è rivelata vincente e l’affluenza (virtuale) di pubblico e critica ha permesso comunque a Il mio corpo di brillare, anche se su piccolo schermo.

Il viaggio dell’ultimo film di Pennetta è quindi cominciato in maniera anomala ma intrigante, come anomala e intrigante è anche la sua visione del cinema, mezzo espressivo che gli consente di osservare la realtà da un punto di vista altro, al contempo radicale e umano. Sì, perché Pennetta affronta le riprese quasi fossero degli studi antropologici, con un rigore e un’intensità rari.

Per il suo ultimo film, che si svolge nell’entroterra di una Sicilia lontana anni luce dai cliché «alla Club Med», Pennetta ha vissuto per mesi in simbiosi con i suoi protagonisti: Oscar, ragazzino che (soprav)vive aiutando suo padre a raccattare ferraglia e Stanley, giovane nigeriano alla ricerca di un posto in una società che della sua umanità non sa che farsene. Pennetta rivendica questa necessaria fase di avvicinamento e immersione in un universo che non conosce ancora ma che desidera ardentemente scoprire.

I suoi film, sin dal suo primo cortometraggio I cani abbaiano (2010), passando per il misterioso ed esteticamente potente ’A Iucata (2013), fino ad arrivare a Pescatori di corpi (2016) e più recentemente a Il mio corpo, ci catturano nel loro universo fatto di quotidianità spesso disperata ma mai miserabilista, umana e sincera. Questo grado di sincerità e naturalezza, la sensazione di essere confrontati ad un’intimità che non sembra filtrata dal prisma del cinema, «è faticosa da ottenere ma anche incredibilmente gratificante» come ci confessa Pennetta.

La toccante intensità di Il mio corpo non ha lasciato indifferenti nemmeno i programmatori dell’ACID, ricettacolo del meglio del cinema indipendente ai margini del Festival di Cannes, che hanno deciso di accoglierlo nel loro olimpo. Come per Visions du réel, l’edizione 2020 dell’ACID (e del Festival di Cannes più in generale) sarà obbligatoriamente «diversa» ma comunque sempre stuzzicante e controcorrente. Nove i film selezionati: cinque film di finzione e quattro documentari che formano il cuore dell’avventura ACID CANNES versione 2020, sorta di super eroi e eroine pronti a tutto pur di tenere alto il nome del cinema indipendente.

Siccome Cannes non potrà accogliere la première dei film, saranno loro a viaggiare per incontrare professionisti del settore e pubblico. A partire da questo mese il comitato dell’ACID lavora infatti alla promozione dei film durante il Marché du Film de Cannes online, mentre in autunno, li accompagnerà nel resto della Francia per delle proiezioni destinate a differenti esercenti di sale cinematografiche. Le presentazioni vere e proprie, con l’équipe dei vari film, per delle «classiche» proiezioni pubbliche si terranno tra settembre e ottobre a Parigi, Lione e Marsiglia.

Pennetta parteciperà all’avventura grazie a un film che del cinema indipendente non prende che il meglio. Formatosi alla SUPSI e successivamente all’ECAL di Losanna e alla HEAD di Ginevra, quello di Pennetta è stato un percorso pieno di sorprese. La sua personale visione del cinema è stata influenzata e arricchita da innumerevoli incontri: con Gregory Catella (ex responsabile della filiale comunicazione visiva della SUPSI) e Fulvio Bernasconi per quanto riguarda il Ticino, ma anche e soprattutto con il documentarista Claudio Pazienza e il critico cinematografico e regista Jean Louis Comolli, entrambi professori alla HEAD, che l’hanno spinto a indagare la realtà attraverso il suo personale punto di vista. Questi due monumenti del cinema del reale gli hanno mostrato la potenza del documentario in quanto mezzo espressivo a tutti gli effetti, al pari della finzione, per raccontare la realtà che ci circonda.

Pennetta ha fatto sue tutte queste esperienze, questi incontri «fortuiti» che si sono trasformati in nutrimento artistico che gli permette di osservare il mondo con precisione e sensibilità, eleganza formale e rugosità tipica dell’immediatezza. Il mio corpo, sorta di climax di una ricerca che da artistica è diventata umana, rappresenta il punto finale della sua «trilogia siciliana», cominciata con ’A Iucata. I suoi protagonisti, corpi spesso umiliati ma mai afflitti, sembrano dimenticare la presenza della cinepresa: Oscar che deve lavorare per ore nella ferraglia o Stanley che continua a subire il peso della discriminazione causata dal colore della sua pelle.

Malgrado la vita continui a metterli alla prova, i protagonisti dei film di Pennetta non si arrendono mai e continuano a lottare per una manciata di tenerezza. La sua cinepresa riesce a catturare l’essenza di questi esseri alla deriva che non si arrendono, ci racconta la loro storia attraverso la potenza delle immagini più che della parola. Parola che ai personaggi sembra negata, come se non se la potessero permettere, sorta di lusso al quale non hanno accesso. È il loro corpo, la loro presenza fisica che da utilitaria diventa poetica a parlare al posto delle parole.

Molti i progetti di Pennetta per il futuro, tra questi un film di finzione che si svolgerà tra l’Italia e i Balcani, ma quello che accomuna tutte le sue produzioni è un’inesauribile ricerca di verità e di luce dove questa sembra ormai spenta.