Forse non tutti sanno che della smisurata produzione di Paul Klee, composta da circa novemila opere, una buona metà è costituita da disegni. Utilizzando una definizione tanto semplice quanto efficace, il maestro svizzero descriveva il disegno come «l’arte di condurre una linea a fare una passeggiata», rivelando quanto per lui fosse importante l’uso di un tratto spontaneo e disinvolto per dare vita al suo universo dalla creatività unica. Non a caso il tipo di segno che più lo affascinava era quello delle pitture rupestri dell’arte preistorica, così immediato e primitivo, e quello dei disegni infantili, scarabocchi dalla grande purezza formale.
E difatti, secondo le parole che lo stesso Klee scriveva all’inizio del suo Pedagogical Sketchbook (uno dei libri più studiati al celeberrimo Bauhaus, dove l’artista ha insegnato per una decina di anni), era necessario saper generare «una linea attiva, che cammina, muovendosi libera, senza un obiettivo». Una linea versatile in grado di pulsare di vitalità e di cogliere ciò che non è visibile, vero fine ultimo dell’arte.
Nei disegni di Klee, da lui mai concepiti come meri schizzi o bozzetti preparatori per un dipinto, bensì come opere autoreferenziali, dotate di un proprio valore estetico, i tratti, ora fluidi ora spezzati, ora sottili ora spessi, si evolvono in cifre, lettere e simboli che raccontano storie in bilico tra ironia e inquietudine. Questi lavori sono composizioni leggere ed essenziali in cui il procedere cadenzato della linea definisce figure umane, animali, piante, creature immaginarie e architetture precarie che ci catapultano in una dimensione fisica e spirituale insieme. Attraverso un segno agile e sciolto Klee profila un personaggio, crea un’atmosfera, isola uno stato d’animo con quella sua sfuggente precisione capace di penetrare la realtà e di restituirla rarefatta.
Una valida occasione per comprendere meglio il ruolo fondamentale che disegno e linea hanno avuto nel percorso artistico di Klee è la mostra allestita negli spazi del Museo d’arte della Svizzera Italiana a Lugano, dove è esposto un corposo nucleo di opere realizzato dal maestro svizzero tra il 1914 e il 1940, anno della sua morte. Si tratta di settanta lavori, tra disegni a matita e a penna, pastelli, acquerelli, acqueforti e litografie, appartenenti alla collezione Sylvie e Jorge Helft, una raccolta che i due grandi estimatori di Klee hanno incominciato a mettere insieme più di cinquant’anni fa e che per la prima volta viene proposta nel suo insieme in un contesto museale. Leggendo le biografie dei coniugi Helft non si fatica a immaginare come sia nata la loro comune passione per Klee: Jorge, nato a Parigi in un’illustre famiglia di antiquari, lascia il proprio lavoro per dedicarsi a tempo pieno all’arte, al teatro e alla musica. Sylvie è un’abile pianista, soprano e direttrice d’orchestra. La loro storia e i loro interessi trovano una profonda corrispondenza con quelli di Klee, figlio di un professore di musica e di una cantante e a sua volta eccellente violinista, capace di trasferire nelle sue opere d’arte i princìpi che governano i componimenti sonori in un perfetto accordo di tinte e forme.
Nel modo di strutturare le scene, nel ritmo delle linee e nella disposizione dei colori Klee ha sempre fatto trasparire il musicista che si nascondeva dietro l’artista. Anche per questo è riuscito ad attraversare le correnti avanguardistiche del Novecento senza lasciarsi inquadrare in schemi predefiniti: membro fondatore del Der Blaue Reiter insieme a Kandinskij, in contatto con il Dadaismo e con il Surrealismo, insegnante di pittura al Bauhaus, non ha mai smesso di essere un solitario che con il suo stile lirico e primigenio ha lasciato una traccia indelebile nell’arte contemporanea.
La rassegna luganese, il cui allestimento è stato concepito in un ambiente raccolto per permettere al visitatore di entrare in intimo dialogo con le opere, esplora secondo un percorso tematico i soggetti più amati da Klee nonché le fasi più significative del suo cammino creativo.
Nei lavori dedicati alla natura si manifesta appieno il modus operandi dell’artista, il suo disegnare senza avere in mente a priori la scena da raffigurare lasciando che essa scaturisca in maniera spontanea attraverso un segno libero. D’altra parte Klee non è mai stato interessato alla riproduzione oggettiva della realtà. Per lui l’artista era una sorta di filosofo capace di osservare l’intero cosmo non per rappresentarlo così come è ma per visualizzarlo in forme e simboli, svelandone gli aspetti più reconditi. Il tratto spigliato di Klee delinea in queste opere infiorescenze delicate, sagome di città che emergono da massicci rocciosi, microrganismi marini che diventano fiori. «L’artista è esso stesso natura», sosteneva Klee, e partendo da questo concetto si interrogava sul processo artistico in un parallelismo tra creazione umana e naturale, entrambe guidate da un impulso vitale che porta a una nuova nascita.
Del periodo tra le due guerre e degli anni trascorsi al Bauhaus, di particolare interesse è L’altra stanza dei fantasmi (nuova versione), datata 1925, un’opera dalle suggestioni metafisiche che nella collezione Helft occupa un posto di riguardo poiché è il primo lavoro di Klee acquistato da Jorge, vendutogli nel 1970 dal mercante d’arte Heinz Berggruen, all’epoca il più grande esperto del pittore svizzero.
Come con pochi tratti Klee riuscisse a suggerire personaggi, espressioni e atteggiamenti è ben visibile nei disegni che hanno per soggetto la figura umana e il mondo animale. Qui l’artista si diverte a comporre scene grottesche in cui le gerarchie e i rapporti tra uomo e bestia vengono ricalibrati in maniera sarcastica. La medesima attitudine all’ironia si ritrova anche nei titoli che Klee dà alle proprie opere, spesso inventati insieme alla moglie Lily e al figlio Felix con l’obiettivo di trovare soluzioni audaci e a doppio senso, generate da associazioni enigmatiche e da modi di dire dialettali. Oltre alla musica, Klee amava molto la letteratura e il teatro. Assisteva a rappresentazioni di tutti i generi, da quelle culturalmente «alte» a quelle più popolari (il circo o gli spettacoli di marionette, ad esempio), trovandovi figure e situazioni da riprodurre nei suoi lavori con una linea scattante e sintetica, come ben dimostra la sezione dedicata alle arti performative.
Il suo tratto, poi, si fa ancor più rapido ed essenziale nei disegni collocati a fine percorso che testimoniano l’ultimo periodo dell’artista, quello segnato da una malattia al tempo sconosciuta, la sclerodermia progressiva. Pur provato nel fisico e nella mente, Klee, che nel frattempo aveva lasciato la Germania per fare ritorno in Svizzera da esiliato, anche in questo momento buio della sua esistenza continuava a lavorare con tenacia (tra il 1937 e il 1939 realizza quasi duemila opere!), riversando nelle sue creazioni le inquietudini che lo tormentavano. In Metamorfosi interrotta raffigura sé stesso con un volto dai contorni marcati, simbolo della sua paura, e con un corpo frammentato, manifestazione della sua condizione di estremo dolore.
Piccola chicca presentata a chiusura della rassegna è una preziosa selezione di pubblicazioni d’epoca che gli Helft, appassionati bibliofili oltre che amanti dell’arte, hanno raccolto con dedizione. A spiccare è un raro esemplare completo del portfolio Meistermappe des Staatlichen Bauhauses, datato 1923, che contiene, tra le altre, una vivace litografia di Kandinskij e una composizione minimalista di Moholy-Nagy, a documentare quel fervido clima culturale e artistico che si respirava al Bauhaus, di cui Klee, con la sua inesauribile vena immaginifica, era stato uno dei principali animatori.