Anche quest’anno a Venezia proliferano le esposizioni. Per raccontarle tutte ci vorrebbe un catalogo apposito. Consigliamo The Bag. The Biennale Arte Guide 2017: qui troverete tutto. Non solo i Padiglioni vari e gli eventi collaterali, come nella guida ufficiale della Biennale, ma anche le altre: da David LaChapelle alla Casa dei Tre Oci a The Boat Is Leaking. The Captain Lied alla Fondazione Prada a Ca’ Corner della Regina. Alla fine il conteggio delle mostre in corso si assesta intorno a 209. Detto questo consigliamo la surreale, stupefacente (e criticatissima) ultima proposta di Damien Hirst divisa tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana che mette in mostra «la sua smisuratezza, la sua ambizione e la sua audacia», come scrive François Pinault, in una sorta di grandiosa irrealtà ricreata come reale fra artificio, autenticità e verità. Forse merita una capatina il nuovo Padiglione dell’Iraq che presenta a Palazzo Cavalli, ora Franchetti, otto artisti contemporanei assieme a 40 manufatti archeologici dell’antico Iraq saccheggiati dal Museo di Baghdad durante la guerra contro Saddam, recuperati dall’Interpol e ritornati nel museo stesso. Chi poi fosse stanco del suo solito passaporto, qualunque esso sia, può sempre farsene fare uno nuovo dall’NSK State in Time – a Palazzo Ca’ Tron, sede dell’università IUAV a Santa Croce, fino al 15 luglio – che non si lega ad alcun territorio fisico né ad alcuna nazione. NSK State in Time viene fondato dal collettivo artistico Neue Slowenische Kunst nel 1992 e dall’anno dopo rilascia un passaporto ufficiale. Si può fare anche online da casa: www.nsk-state-pavilion.org.
Di seguito alcune proposte, non per forza le più interessanti.
Marzia Migliora al Museo di Ca’ Rezzonico
Marzia Migliora si confronta con le opere del Museo di Ca’ Rezzonico che espone il Settecento veneziano. Lo fa interagendo con la storia e la cultura del luogo in un ambiente particolarmente suggestivo. La mostra si intitola Velme, termine che indica «quella porzione di fondale lagunare che emerge in occasione delle basse maree». Un ambiente a rischio, fra passato e presente. Cinque le installazioni dell’artista dislocate nelle sale; una più affascinante dell’altra, come La fabbrica illuminata che propone dei banchi da orafo sui quali è posizionato un blocco di salgemma. Commercio, forza lavoro, rapporto fra terra e acqua si confondono tra di loro nel portego del primo piano. Fra i dipinti di Longhi, invece, Migliora espone un corno in bronzo dorato per rimarcare la fragilità della natura. Nel dipinto di Longhi, infatti, il rinoceronte senza il suo corno appare come un animale da circo, inerme e indifeso. Ma è in Taci, anzi parla che l’artista svela il suo pensiero. La maschera bianca, detta Moréta, con solo due fori per gli occhi si poteva indossare unicamente stringendo fra i denti una mordacchia. La dama dell’epoca non poteva quindi parlare, come il rinoceronte, bellezza esotica silente.
Padiglione della Svizzera
Il Padiglione svizzero con il suo curatore di quest’anno Philipp Kaiser, si interroga sull’assenza di Alberto Giacometti a Venezia. Giacometti non ha mai voluto accettare l’invito di partecipare al Padiglione svizzero perché si riteneva un artista internazionale. I tre artisti scelti lavorano su quest’assenza. Teresa Hubbard e Alexander Birchler con un film raccontano la storia d’amore di Giacometti con Flora Mayo e mediante la ricostruzione di una scultura di Flora, andata distrutta, analizzano la loro collaborazione artistica. Carol Bove, invece, propone delle sculture che si richiamano al lavoro dell’artista: sintetiche, leggere anche se moderne e minimaliste.
Basta, però, parlare in Svizzera sempre di Giacometti; è stato meglio il caos sotto il tappeto pulito di Thomas Hirchhhorn di tre biennali fa.
Padiglione dell’Italia
Dopo i Padiglioni italiani degli ultimi anni, caotici, inconcludenti, veramente miserevoli, quello di quest’anno ha una parvenza di accettabilità. Tre gli artisti proposti da Cecilia Alemani: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey. Tre personaggi fuori dagli schemi ufficiali dell’arte, un po’ come la curatrice. La mostra si snoda attorno al pensiero dell’antropologo salernitano Ernesto de Martino il quale si è occupato anche di rituali magici nel volume, appunto, Il mondo magico. I tre artisti rifuggono una narrazione documentaristica per immergersi in una visione trasfigurata della realtà. Suggestivo il lavoro di Roberto Cuoghi che con il suo Imitazione di Cristo propone un’officina nella quale si fabbricano oggetti devozionali – dei crocifissi – realizzati in loco mediante riproduzioni meccaniche ad alta tecnologia. Peccato che il compito dei padiglioni nazionali dovrebbe essere la rappresentatività della scena artistica appunto nazionale e che anche quest’anno il tema e gli artisti scelti sembrino del tutto soggettivi.
Shirin Neshat
L’artista iraniana è in mostra con 26 delle 55 fotografie della serie The Home of My Eyes. Immagini statiche, frontali su sfondo nero che ritraggono persone del variegato Azerbaijan. Tutte in posa, molte con le mani intrecciate in una sorta di preghiera. Uno spaccato silente e immobile dell’umanità e della cultura di un popolo ricco di etnie, religioni e lingue diverse. Neshat fa a modo suo, in forma toccante, introspettiva, che tradisce l’amore e la sofferenza per questo mondo affascinante e martoriato. I volti sono sovrascritti a inchiostro con le parole dei personaggi raffigurati o le poesie di Nizami Ganjavi, poeta iraniano del XII secolo. Nella sala accanto è proiettato il video Roja, del 2016. I ritratti, esposti come in una quadreria dell’Ottocento, sono situati alla fine del percorso museale nella grande Sala delle quattro porte.