Libertà intellettuale, eccentrico impegno civile, pensiero critico: Pier Paolo Pasolini è stato uno straordinario intellettuale, il cui accidentato e troppo breve percorso esistenziale ne testimonia l’alterità. Intellettuale laico in un contesto stolidamente confessionale come quello italiano di quegli anni, fu però lontano dalla figura militante di intellettuale organico della sinistra. E fu ecumenicamente «corsaro», cioè non assimilabile, anche quando mise a fuoco le distorsioni della modernità.
Pasolini lascia un segno alto, che merita ricordo e affettuosa tutela, nella poesia, nella saggistica, nel romanzo, nel cinema, nel teatro, non solo di area italiana. Più che giusto che la RSI giovedì scorso gli abbia dedicato una serata televisiva (che fa il paio con quanto proposto dalla Rete Due) in occasione del centenario della nascita; azzeccata la scelta di affidarla a Sandra Sain, che ha il passo giusto, elegante e profondo, per trattare temi come questi. Fabio Pusterla, che ben conosce Pasolini e il contesto in cui operò, ha offerto una serie di importanti chiavi di lettura per l’esplorazione di un universo complesso, di un Pasolini in perenne conflitto con i tempi (modernizzazione, distruzione del mondo contadino, periferie, proletariato) e con le proprie pulsioni, e che praticò varie forme espressive per meglio raccontare le ragioni e i contorni della sua immedicabile alterità.
Si è proseguito con La ricotta (1963), il capitolo pasoliniano (che tanto assurdo scandalo suscitò) di un film a episodi che riuniva anche Godard, Rossellini e Gregoretti. Un gioiello di ironia crudele, un surreale racconto meta-cinematografico, in cui si ibridano richiami a Fellini e la sensibilità che aveva dato origine a opere come Accattone (o, sul fronte letterario, a Ragazzi di vita).
Una serata arricchita da materiali d’archivio, dalle canzoni di Pasolini proposte da Pilar e dagli interventi degli attori Silvia Gallerano e Ascanio Celestini; tutti, in modi diversi, raccolgono l’eredità pasoliniana. Si è proseguito con La ricotta (1963), il capitolo pasoliniano (che tanto assurdo scandalo suscitò) di un film a episodi che riuniva anche Godard, Rossellini e Gregoretti. Infine, il bel documentario RSI del 1967, Le confessioni di un poeta, realizzato da Fernaldo Di Giammatteo. Un contributo intenso e raro, sia per la qualità raffinata e antica del commento a corredo delle immagini, sia per le testimonianze lucide del poeta e della madre.
L’offerta della RSI, nello specifico, deve essere salutata per l’intelligente attenzione nel ricostruire un profilo che, in questi tempi di ignoranza e di strumentale semplificazione, fa riandare a tempi più vivaci e stimolanti; ci si augura che essa alluda anche alle future declinazioni della politica culturale dell'azienda (produttore con Consuelo Marcoli è infatti Vanni Bianconi, nuovo responsabile cultura della RSI).