Parlare di calcio, ma senza il calcio

Palinsesti sportivi particolari
/ 23.08.2021
di Marco Züblin

Spesso ci coglie una domestica disperazione di fronte alla pochezza dei palinsesti televisivi, e non solo di quelli estivi; e ogni tanto le conseguenti incursioni in partibus infidelium permettono qualche scoperta piacevole. Mi riferisco, ad esempio, alle varie trasmissioni che Telelombardia e Antenna 3 dedicano al calcio italiano. Non si tratta di trasmissioni sportive in senso classico, e questo a prescindere dal monomaniaco interesse che esse rivolgono alle vicende del pallone. Sono orfane di immagini di attualità, e questo sarebbe già un paradosso per programmi sportivi; le uniche, che scorrono alle spalle degli ospiti, sono immaginette votive che propongono eroi (anche defunti) della pedata, in contesti vintage.

Sarebbe un paradosso, appunto, se queste emissioni non fossero scenario di straordinari meccanismi teatrali, tra il tragico e il farsesco, una vera e fluviale commedia dell’arte che ha il calcio come mero pretesto e occasione per una spesso isterica interazione tra un campionario assai variato di umanità vociante. Ci sono i tifosi tutto fegato e malafede (una schiera di manager, di avvocati e di illustri clinici; c’è anche un disc jockey, e un «ticinese»), i giornalisti o presunti tali (in realtà spesso sbarcati in video come tifosi camuffati da specialisti), gli allenatori di terza fascia (che tentano di sdottoreggiare pensosamente su schemi di gioco, nello scetticismo e nell’ilarità generale), un cabarettista partenopeo, alcuni altri pensosi intervenienti che vengono subito trascinati nel gorgo della polemica spicciola.

Gestisce la bella compagnia di giro un gruppo di conduttori e di conduttrici molto in palla, per dire così, impegnati a regolare il traffico della chiacchiera sovrapposta, di volta in volta smorzando ardori eccessivi o, in specie quanto a reggere il gioco è il direttorissimo, suscitando interminabili dibattiti con pretesti da nulla, gossip, polemiche, o con ipotesi campate in aria. È un meccanismo perfetto che va avanti per ore, con un parterre di orchestrali che cambia senza che cambi la musica, ma che nessuno è obbligato a seguire per intero, tanto ripetitivi sono i temi messi sul tavolo come ingredienti di scontro oratorio; una sorta di televisione di flusso, un tappeto sonoro e cacofonico, i cui contenuti sono dimenticati subito dopo essere stati lanciati nell’etere.

Il meccanismo è quasi perverso nella sua perfezione, la scelta del parterre del tutto adeguata e frutto di un evidente grande mestiere, i ritmi apparentemente casuali e quasi anarchici ma in realtà sapientemente organizzati, il profluvio di spazi promo-pubblicitari congruo alla qualità dell’emissione (denti finti, formaggi, materassi, idropulitrici). E non è una programmazione per gli amanti dell’assurdo e dell’orrido, intendiamoci; è qualcosa di diverso, quasi di rigenerante, che permette di trasferire e di sedare qualche propria quotidiana arrabbiatura.

Aggiungo la creazione di un nuovo genere, quello della radiocronaca televisiva, qui ovviamente in versione concitata e programmaticamente faziosa; radio a colori, al suo meglio. Si potrebbe anche dare al successo, meritato, di queste trasmissioni una valenza a livello di sociologia sportiva; i nostri cugini meridionali sono in realtà poco o nulla interessati al gioco del calcio come tale, ma solo alla chiacchiera di contorno, al mercato da fantacalcio e alla girandola di milioni, alla classifica e ai risultati, alle lotte di campanile, e alla quotidiana (ri)creazione di miti e di oggetti di odio o di ludibrio, nessuno essendo al riparo dal finire da un campo all’altro alla velocità della luce. Vedere per credere, vedere per amare.