Palcoscenico napoletano

Un pranzo da Ciro nei Quartieri Spagnoli di Napoli è come una visita a teatro
/ 27.12.2016
di Manuel Rossello

In uno dei più divertenti racconti di Giuseppe Marotta, avendo saputo che il camorrista insediatosi in casa sua è cardiopatico, l’oppresso padrone di casa afferra una pila di piatti e la lascia cadere in mezzo al salotto proprio mentre il prepotente è appisolato sulla sua poltrona. Chi fosse tanto temerario da inerpicarsi fin nel cuore dei Quartieri Spagnoli di Napoli e varcare la soglia della trattoria «Da Nennella», sappia che le esperienze sensoriali a cui andrà incontro potrebbero assomigliare all’episodio evocato. Non che Ciro, il dominus incontrastato del locale, sia paragonabile al cattivo del racconto, ci mancherebbe altro. Non si può non notare, tuttavia, che la somiglianza con John Gandolfini, il boss della serie TV Soprano, è impressionante e che il brogliaccio su cui è vergato il menu ha un’inquietante somiglianza con un pizzino. Inoltre il locale si espande come una piovra su tutta la via obbligando i ragazzini del quartiere a impennare altrove le loro moto truccate.

Il servizio (dovrei dire lo spettacolo) inizia verso le dodici e trenta e per quell’ora la folla, tra cui molti turisti, è già così numerosa da ostruire il vicolo. Ciro è appostato davanti all’ingresso, dove quattro assi inchiodate alla bell’e meglio sono il Checkpoint Charlie oltre il quale avanzano i prescelti. Protervo e beffardo, egli regna incontrastato sulla calca: chi lo chiama, chi lo implora di lasciarlo passare, chi per ingraziarselo ostenta la maglietta del Napoli, chi pur di muoverlo a clemenza si proclama suo lontano parente. Ma la concessione del lasciapassare dipende esclusivamente dal suo capriccio. Ed è allora che don Ciro dà il meglio di sé: sghignazzi, sfottò, tirate da avanspettacolo, cori da stadio, battute da caserma, tutto un repertorio collaudatissimo in cui si riconosce la discendenza dai maestri del teatro popolare napoletano, da Scarpetta a Viviani, da Totò a Troisi, da Eduardo a Leopoldo Mastelloni. Senza dimenticare il grande Mario Merola. «Struffagli e pinzillacchere!», direbbe il principe De Curtis. Si potrebbe pensare che la gente in fila dopo un po’ si scocci. Macché, lo ascoltano adoranti e non si perdono una battuta. E quelli che sono dentro si godono cibo e spettacolo, lasciando partire di tanto in tanto un fragoroso applauso a cena aperta. In questa baraonda infernale Ciro trova il tempo per afferrare il telefono che squilla in continuazione e urlarci dentro con quanto fiato ha in gola: «Siamo aperti, venite!».

Il pasto è un turbinio di delizie servito su un ottovolante: in men che non si dica sul tavolo atterrano acqua e un chiarello della casa. Come primo vi verrà fatta un’offerta che non potrete rifiutare: pasta e patate in un’interpretazione da urlo. Per secondo non potrete dire di no a una spettacolare cernia in gratella di pistacchio. Se il cameriere è di luna buona vi concederà un contorno. Scordatevi i dolci. All’arrivo di un cesto di frutta vi consiglio di metter mano al portafogli e dirigervi verso l’uscita. Il conto è sottile come una sfogliatella: antipasto-primo-secondo-acqua-vino-caffè-coperto quindici euro. Sappiate che se lasciate una mancia innescherete un rimbombo di ringraziamenti e vi rimarrà il dubbio se sia un folkloristico omaggio o una spudorata presa in giro. Dopodiché sarete catapultati fuori con una pacca sulla spalla degna di Cassius Clay. E mentre nell’appagato stordimento cercherete di riemergere dal labirinto dei Quartieri Spagnoli, i bestiali gorgheggi di Ciro vi inseguiranno fin quasi in Via Toledo.