Orme di peso e letture da rivedere

L’arte come vettore di inclusione senza compromessi
/ 07.06.2021
di Giorgio Thoeni

La sesta edizione del festival internazionale di arti inclusive Orme può vantarsi di essere stata la prima rassegna in presenza ad andare in scena, affrontando la sfida con le regole restrittive ma attirando l’interesse del pubblico fino a spingere gli organizzatori del Teatro Danzabile a replicare l’offerta giornaliera. Inserito nel progetto IntegrART del Percento culturale Migros che riunisce 4 festival che coinvolgono persone con disabilità (Lugano, Berna, Basilea, Ginevra), Orme ha dedicato questa edizione all’arte di immaginare, volgendo lo sguardo a un futuro culturale diverso di un mondo inclusivo dove l’arte lascia il segno.

Molti gli appuntamenti e le occasioni di riflessione e molta la qualità, fra cui Talenti imprevedibili, Paper Landscapes, una produzione della coreografa Annie Hanauer in collaborazione con Teatro Danzabile. È una breve pièce che raggruppa un ensemble di performer disabili e studenti della zurighese ZHdK alla ricerca delle tracce dei confini della normalità attorno a un equilibrato divenire di studiati movimenti corali.

Sulla falsariga dei ricordi, dei loro punti di rottura e dei possibili cambiamenti si articola invece Erinnerungen Schwirren (I ricordi che ronzano) della compagnia Tanzbar_Bremen, una coreografia per tre danzatori: sequenze eleganti e misurate in un gioco in cui i corpi si cercano attorno a un’ipotesi di memoria. Let Me Be, ultima proposta in cartellone, ha offerto una performance fortemente significativa imperniata sulla domanda di come si può descrivere uno spettacolo di danza a una persona cieca.

Tre quarti d’ora di profonda intesa fra due danzatori: Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello. Una giostra di movimenti coordinati e in perfetta simbiosi dove Comuniello, straordinario performer non vedente, muove il corpo della Guarino con una precisione e un affiatamento strepitosi, una prova appassionante accompagnata da un’audioguida in cuffia.

Improvvisazione fra le righe
Per Margherita Saltamacchia la lettura scenica è ormai divenuta una comfort zone che piace al Teatro Sociale di cui l’attrice è una sorta di Musa apprezzata dalla platea bellinzonese (Il dolore, Il fondo del sacco, Frankenstein…) che recentemente è tornata ad applaudirla in White Rabbit Red Rabbit di Nassim Soleimanpour. Il quarantenne scrittore iraniano è l’autore di un testo, tradotto e proposto sulla scena in più lingue, che deve esser letto senza che l’interprete possa prima prenderne visione.

Un esperimento al buio, insomma. Senza pathos e dalla sostanza un po’ fragile, la narrazione tenta di coinvolgere la platea consenziente fra le righe di una facile metafora di sopraffazione. Indubbiamente originale l’idea teatrale, brava e coraggiosa l’attrice... ma non basta.