Orizzonti (musicali) più o meno nuovi

A Berlino si è tenuta Avant Première, la più importante fiera del settore
/ 26.02.2018
di Zeno Gabaglio

La nostra contemporaneità – almeno da un trentennio – è stata definita l’era dell’immagine: qualsiasi contenuto dev’essere veicolato da un’immagine appropriata, da un elemento visivo che catturi l’attenzione valorizzandolo. Abbastanza in fretta si è anzi giunti al paradosso per cui – di fronte a un’immagine efficace – quasi ci scordiamo di andare a verificare se anche il contenuto lo sia altrettanto.

Va da sé che pure la musica – elemento non-visivo per sua stessa essenza – si è dovuta adeguare. E se a farla da padrone inizialmente è stato il pop (con l’affermazione del videoclip e dei canali tematici tipo MTV) non si è dovuto attendere molto prima che tutti gli altri generi si adeguassero alle nuove necessità di comunicazione. Addirittura la classica, che normalmente non brilla nella comprensione dell’evolversi di gusti e abitudini.

Poi la diffusione dell’immagine musicale ha cambiato pelle, si è moltiplicata e parcellizata: youtube ha cominciato a regalarci flussi di musica e immagini, MTV ha smesso di diffondere videoclip votandosi completamente a reality non musicali, le reti generaliste hanno invece recuperato il fenomeno-musica come alibi (anche sostanziale) nei format talent show. Il tutto a una velocità così sorprendente da destabilizzare ogni istituzione che fino a poco prima – e per decenni in modo quasi immutato – aveva realizzato prodotti visivi partendo da contenuti musicali, in primis le televisioni e le loro riprese di opere e concerti.

Una delle migliori occasioni per tastare il polso alla situazione è costituita da Avant Première Music+Media, un evento-mercato parallelo alla Berlinale cinematografica che viene annualmente organizzato da IMZ, l’istituzione con base a Vienna affidataria – direttamente dall’UNESCO e già nel 1961 – del non semplice mandato di «preservare le arti performative in quanto bene culturale».

Si tratta di cinque giorni in cui i principali produttori e distributori di materiale video-musicale – e si va da solidissimi enti statali quali BBC, ZDF, ORF, ARTE a compagnie private; da festival-produttori a sale o formazioni sinfoniche – si incontrano e si confrontano per arrivare ad accordi commerciali ma anche per scambiarsi idee e know-how tecnologico.

Il dato davvero sorprendente è quello per cui il prodotto più ricorrente è quello che parrebbe (per sua natura) il meno televisivo di tutti: l’opera lirica. In un trend contemporaneo dove l’attenzione umana sembra accorciarsi e disperdersi, chi mai potrebbe essere catturato da spettacoli di 180 e più minuti dove – malgrado la regia e la tecnologia abbiano fatto passi da giganti – tutto sostanzialmente si svolge su un unico palco? E dove, per di più, interi minuti di azione devono arrestarsi per consentire al cantante di intonare un’aria? Eppure di opere se ne producono tante, con un’incredibile inflazione dei «soliti» titoli – tra le novità del 2018 si sono contate almeno cinque diverse Carmen...

Una spiegazione potrebbe essere legata al fatto che la produzione di opere è già talmente cara che aggiungere un decimo del budget per realizzarne un’ottima versione filmica non sembra uno sproposito. E con la versione ripresa dalle telecamere si può inoltre coinvolgere quel pubblico – come da tempo avviene in Ticino, con il successo della Royal Opera House di Londra nei nostri cinema – che altrimenti non si potrebbe mai raggiungere con le rappresentazioni teatrali. E questa in chiave futura (a causa dei sempre maggiori costi di allestimento) può apparire come una delle poche possibilità di sopravvivenza per l’opera stessa. Perché è difficile continuare a scommettere sulle diffusioni televisive che, per esempio, in una nazione lirica come la Francia avvengono solo la notte tra domenica e lunedì su TF1.

L’auto-finanziamento è quindi un fattore nuovo e ricorrente nella produzione video-musicale: anche per le orchestre (tutte le più prestigiose), che aprono propri canali digitali a pagamento; per le sale, che offrono pacchetti video-inclusivi; per i festival che puntano sull’immagine da remoto per eternare e promuovere il proprio valore. E anche qui, a stupire, è il continuo presentarsi dei soliti nomi: Barenboim e Rattle. L’usato sicuro che, solo, sembra giustificare ogni investimento video-culturale.