Il suono registrato del fragore di onde e nuvole poco rassicuranti (ma vere) che sfilano sulle ali di un vento di burrasca sopra le teste del pubblico dell’Agora. È lo scenario della prima delle due serate inaugurali di LAC en plein air, il nutrito cartellone estivo proposto dal polo culturale luganese. Onde, vento e nuvole sono sembrati così strumenti accostati ad arte per l’occasione, per creare attesa e tensione sulle prime parole. «Prima che il sogno (o la paura) ordisse mitologie e cosmogonie, prima che il tempo si coniasse in giorni, il mare, il sempre mare, era da sempre». Sono i versi di Borges per il suo mare a echeggiare rompendo il silenzio con una breve ma intensa poesia, ideale per entrare fra le braccia del mito per eccellenza raccontato dai canti dell’Odissea.
L’antico poema epico di Omero è stato affidato al regista Luca Spadaro con l’obiettivo di ricavarne un’ora di racconto a più voci selezionando gli episodi più significativi. Tagli certamente non facili e che non sempre rendono giustizia alla grandezza di una narrazione, soprattutto di un’opera che ha cavalcato i millenni conservando intatto il suo fascino. Tuttavia il risultato non ha deluso le aspettative, anche se qualche purista sarà rimasto a bocca asciutta. Così è se vi pare: la versione integrale dell’opera sarà per un’altra volta, con sacco a pelo al seguito. E i microfoni schierati per – da sinistra a destra – Mirko D’Urso, Cristina Zamboni, Margherita Coldesina e Massimiliano Zampetti, hanno dato volume all’adattamento di Spadaro e alle imprese di quel «grand’uomo, straordinario giramondo» nel suo viaggio di ritorno in patria dopo la guerra di Troia.
Dall’incontro con Polifemo alle malefiche pozioni della sensuale Circe, dall’irresistibile e insidioso canto delle sirene al ritorno a Itaca fra le braccia di un’incredula Penelope: una narrazione veloce, cadenzata da brevi stacchi musicali (La Folia di Vivaldi), a tratti punteggiata da slanci esuberanti per una lettura complessivamente ben distribuita, equilibrata e convincente. La celebre traduzione di Emilio Villa degli anni 60 ha certamente contribuito a sottolineare l’attualità del racconto delle avventure di Ulisse con una lingua chiara e avvolgente, lontana da versioni più classiche e impegnative, più consona a una resa teatrale. E sebbene le scelte abbiano necessariamente privilegiato alcuni episodi, non è mancato quello che Eco sbertucciava nel suo Diario minimo (1972): «La storia è bella, appassionante, piena di avventure (…) Ci sono colpi di scena, giganti monocoli, cannibali, e persino un po’ di droga…». Un generoso pubblico ha accolto i quattro eroi al microfono con numerosi e meritati applausi.