Omaggio al «principe della risata»

Franca Faldini e Goffredo Fofi firmano un libro imprescindibile su Totò, a 50 anni dalla morte
/ 25.09.2017
di Giovanni Fattorini

Tra i libri usciti in occasione del cinquantenario della morte di Totò (Roma,15 aprile 1967) ce n’è uno –Totò, l’uomo e la maschera – che può ben dirsi «imprescindibile» perché ha brillantemente inaugurato la serie dei «riconoscimenti» e delle «rivalutazioni» di un attore con cui la critica cinematografica – sin quasi al termine dei suoi giorni – è stata avara di elogi e prodiga di rimproveri per via della modesta o scadente qualità delle sceneggiature e delle regie di gran parte dei numerosi film di cui è stato protagonista o coprotagonista. La rilevanza del libro – firmato da Franca Faldini (attrice, scrittrice e giornalista, compagna di Totò dal 1952 fino alla morte) e da Goffredo Fofi (critico teatrale e cinematografico, saggista, attivista e direttore di importanti riviste culturali) – è dovuta anche alla ricchezza e alla varietà, oltre che alla significatività dei materiali che lo compongono. Per ragioni di spazio dirò soltanto dell’ampia testimonianza di Franca Faldini e del fondamentale saggio di Goffredo Fofi.

La prima delle cinque sezioni in cui è diviso Totò, l’uomo e la maschera (ristampa del volume pubblicato nel 1977 da Feltrinelli, poi riedito da Pironti, da L’ancora del Mediterraneo, da Mondadori, e ora da minimum fax, con molte aggiunte e una nuova prefazione di Goffredo Fofi) s’intitola Quindici anni con Antonio de Curtis: tale era il nome di Totò, figlio naturale di Anna Clemente e Giuseppe de Curtis, che solo nel 1928 lo riconobbe come figlio legittimo, trasmettendogli il cognome e il titolo di marchese.

L’araldica fu tra le passioni più vive di Antonio de Curtis, per il quale Totò, nella vita, «era una specie di ingombrante marionetta». Franca Faldini (1931-2016) ne fa un ritratto non agiografico, che prendendo le mosse dalla fanciullezza e dall’adolescenza vissute in povertà (Totò nasce a Napoli, nel rione Sanità, il 15 febbraio 1898) intreccia i dati biografici ai tratti caratteriali e comportamentali (i ragguagli più numerosi e precisi riguardano ovviamente gli anni di vita in comune), e riferisce testualmente giudizi e pensieri espressi sempre con grande franchezza. Delle molte cose che Franca Faldini dice di lui, eccone alcune. «Timido, chiuso», esternava con difficoltà i suoi sentimenti. Era generoso: finanziava asili per vecchi e per l’infanzia e manteneva un canile di randagi. «I salotti mondani gli comunicavano una noia che non tentava neppure di nascondere». Non amava viaggiare. Era pigro e abitudinario. Prima di diventare quasi cieco, «le sue uscite a piedi erano soprattutto di notte, a zonzo con il cane al guinzaglio». «Il teatro era la sua vera vita, il suo ambiente naturale». «Guardava al cinema con sufficienza ironica». Era uno straordinario improvvisatore (sulla scena e a volta anche sul set). Nei suoi rapporti con le donne pesava non poco «l’influenza di un’educazione latina piccoloborghese». Ma, conclude Franca Faldini, «gli sono grata per quell’arco di anni assieme che fu a volte un paradiso, spesso un inferno, mai comunque un limbo».

«Sociologicamente», scrive Goffredo Fofi nella seconda sezione del libro, «Totò è a cavallo tra l’esperienza sottoproletaria e quella piccoloborghese. Ne derivano due diversi tipi di aggressività […] che s’intrecciano perennemente nella stessa coscienza dell’attore». Ma il punto di partenza della sua vicenda artistica è la maschera. Il modello più immediato è Gustavo De Marco, «uomo “svitabile”, fantasista, macchiettista», alle spalle del quale c’è una tradizione ricchissima, i cui momenti migliori, in Totò, si fondono «in modo meravigliosamente sincretico e con grande coerenza». All’interno di questa tradizione Fofi addita Pulcinella («la maschera sottoproletaria per eccellenza»); le macchiette di Nicola Maldacea e di altri artisti del café chantant, della rivista, del variété e dell’avanspettacolo; «la farsa (nella versione dalla commedia dell’arte)».

Imboccata con decisione la strada del cinema, verso la fine degli anni Trenta, Totò entra progressivamente in contatto con modi espressivi e contenuti diversi: le opere teatrali di Scarpetta, Eduardo e Viviani; l’umorismo surreale di Zavattini e Campanile; il teatro di Pirandello; il neorealismo di Rossellini e De Sica; la «commedia all’italiana» di Steno e Monicelli; e da ultimo il mondo intellettuale e poetico di Pasolini. La marionetta si arricchisce di nuove dimensioni. Totò «assorbe con immensa intelligenza plastica gli elementi “umani” che gli venivano proposti». E tuttavia, in lui «vince la maschera e resta in second’ordine il personaggio». «È e resta Totò, una maschera con tratti non deformabili oltre un minimo limite: i caratteri devono piegarsi a Totò, e Totò non può piegarsi ai caratteri». Grazie al cinema «[…] è sceso dai suoi limbi metafisici e meccanici attraversando la realtà e riconquistandola senza mai diventare troppo “umano”, e perciò stesso essendolo maggiormente».

«I cinquant’anni dalla morte – scrive Fofi nella sua nuova prefazione – ci diranno se ha ancora qualcosa da dire all’Italia di oggi, lui che è stata un’espressione tra le più significative di un’Italia che non c’è più». E in tono speranzoso: «[…] forse, come le grandi maschere che interpretano ancora quel che di eterno vi è nell’umano, anche Totò resterà». Personalmente non ho dubbi: resterà.

Bibliografia
Franca Faldini, Goffredo Fofi, Totò, l’uomo e la maschera, minimum fax, pp. 440, euro 16.