Giovane regista (classe 1994) nato a Lione e cresciuto a Losanna dove si è diplomato all’ECAL (École cantonale d’art), Elie Grappe è stato uno dei pochi a rappresentare la Svizzera nell’ultima edizione del festival di Cannes. Il suo primo lungometraggio Olga è infatti stato scelto da Charles Tesson nella Semaine de la critique (che quest’anno festeggiava la sessantesima edizione). Un concorso che gli ha portato bene e gli ha regalato (insieme a Raphaëlle Desplechin) il premio per la miglior sceneggiatura. Il film racconta di Olga, una promessa della ginnastica artistica ucraina, che viene mandata in Svizzera ad allenarsi dalla madre (una giornalista importante e nell’occhio del ciclone per le sue inchieste) proprio mentre nel Paese scoppia la rivoluzione. Sulla Croisette abbiamo incontrato il giovane regista la mattina seguente la prima del suo film, accolto con grande calore ed entusiasmo. Ecco quello che ci ha raccontato.
Elie, come ti senti a essere selezionato in un concorso ufficiale importante come quello della Semaine a Cannes?
È anzitutto un ottimo riconoscimento per il lavoro di tutta l’équipe che ha partecipato alla realizzazione di Olga e personalmente è davvero una bella emozione perché la Semaine de la critique ti offre la possibilità di essere ben accompagnato lungo tutto il percorso. Credo davvero sia un bellissimo modo per presentare il mio primo lungometraggio e il luogo migliore dove poterlo fare.
Come sei arrivato a questo soggetto particolare? Come mai ti sei interessato alla ginnastica artistica?
Dopo i miei studi, alla fine del 2015, ho realizzato un documentario su un conservatorio e una delle protagoniste era una violinista ucraina che era arrivata in Svizzera appena prima dell’inizio della rivoluzione. Il modo con il quale mi ha raccontato quei momenti e quelle rivolte mi aveva colpito. Mi aveva anche detto che le immagini viste in tv e sui social l’avevano così sconvolta che avevano influenzato anche la sua musica e il modo di suonare. Una vicenda che mi appassionò sin da subito e che ho capito poteva essere trasportata sullo schermo.
Grazie a quella storia ho anche trovato il punto di contatto tra i vari temi che mi interessano: filmare la passione di un adolescente, mettere faccia a faccia uno sviluppo individuale con uno collettivo e, attraverso il cinema, mettere in relazione la frontiera intima con quella geografica. Volevo fare un film sull’esilio con elementi che non sono al loro posto e con un personaggio confrontato con situazioni geo-politiche più grandi di lui. Il film parla appunto del modo in cui un’eroina può conciliare il suo desiderio individuale con gli eventi che fanno la Storia. È su questo aspetto che ho articolato tutta la mia ricerca.
Come hai scelto la protagonista?
Diciamo subito che è una ginnasta e non un’attrice ed è il vero e proprio cuore del film. Sin dalla prima volta che la vidi ci fu qualcosa che mi ha avvicinato a lei. Mi interessava mostrare chi era realmente e con lei è stato facile perché si è dimostrata molto spontanea e ricettiva. Grazie a lei e alle compagne – atlete di alto livello che conoscono perfettamente la dura vita di quel mondo con allenamenti di 30 ore alla settimana, ma anche che cosa significhi la pressione nell’essere davanti a 10mila persone in uno stadio – volevo mostrare quel mondo. E mi sembrava più convincente farlo con le atlete stesse. In definitiva il mio compito principale è stato quello di organizzare al meglio una libertà entro la quale le ragazze potessero fare la loro parte ed è andata molto bene.
Nel film è presente un interessante miscuglio di lingue…
In effetti è proprio così e in qualche modo il mix linguistico è un simbolo della Svizzera. Nel film questo fatto è anche un oggetto di tensione tra le ginnaste. Mi spiego meglio: nella squadra elvetica le ragazze non parlano la stessa lingua ma collaborano comunque tra di loro. Mentre quando arriva Olga, che ne parla un’altra ancora, è vista in modo diverso ed è considerata una straniera. Volevo lavorare su questo aspetto per mostrare al pubblico che lo status di straniera non è altro che una costruzione.
Nel film è evidente un altro concetto: quello di Nazione. Come lo hai elaborato?
Mi interessava molto approfondire il dualismo tra sport e politica, con il primo che non perde occasione per sottolineare di non essere legato alla politica; lo sport ha molta paura di un intervento politico, ma in realtà questi ambiti sono strettamente collegati e in definitiva tutto è politico. Anche il non volere avere a che fare con la politica è un gesto politico in sé. Per quel che riguarda il concetto di Nazione io la penso in questo modo.
Quello che lega Olga all’Ucraina non è un sentimento patriottico, ma è un rapporto intimo che si concretizza in alcune figure come la madre e l’amica, ma coinvolge anche nella città in cui è nata e cresciuta. E quando la città va a fuoco lei si sente toccata direttamente. Alla fine, il film è basato sulla questione identitaria che passa attraverso i rapporti intimi e non da quelli patriottici.
Hai girato il film durante la pandemia?
Sì, eravamo nel mezzo delle riprese quando in marzo del 2020 abbiamo subìto, come tutti, lo stop. Ci restavano ancora due settimane di set e soprattutto la parte dedicata al campionato europeo di ginnastica che era stata davvero ben preparata. Per fortuna abbiamo avuto degli aiuti statali che ci hanno permesso di poter continuare il lavoro.
Detto ciò, credo che per me lo stop sia stata anche un’opportunità. Fermare il set nel bel mezzo del film mi ha permesso di iniziare a montare il girato e questo è stato fondamentale. Ho avuto la possibilità di guardare quanto avevamo già fatto con maggiore obiettività e ho potuto capire che cosa fosse davvero il film. Mi ha permesso di ricominciare a girare consapevole di quanto avevo visto e della qualità degli attori e della troupe.
E ora? Stai lavorando a un nuovo progetto?
Dopo Cannes inizia il percorso del film nelle sale cinematografiche. Vediamo quando comincerà a farsi vedere dal pubblico e dove lo porterà questo importante viaggio. Da parte mia sto iniziando a scrivere una nuova sceneggiatura che mi sta appassionando. L’ambientazione è molto diversa da quella di Olga e anche il periodo storico è differente. Anche questa sarà una coproduzione franco-svizzera.