Oh William! Della grande scrittrice statunitense Elizabeth Strout, vincitrice del premio Pulitzer nel 2009, edito in Italia da Einaudi con la traduzione di Susanna Basso, è la storia di una relazione che non sa finire. Lucy, la protagonista nonché voce narrante, racconta del suo primo marito, rivolgendosi apertamente alle lettrici e ai lettori, con espressioni come: «vorrei che tu provassi a capire una cosa».
Da notare che Lucy è la protagonista del romanzo del 2016 Mi chiamo Lucy Burton: Strout riprende il filo di quella storia, facendo alle lettrici e ai lettori un dono impagabile, vale a dire quello di permettere loro di incontrare ancora la personaggia a cui si sono affezionati, scoprendo qualcosa di nuovo di lei e della sua visione del mondo.
In Mi chiamo Lucy Burton, la donna si trovava ricoverata per delle complicazioni sopravvenute in seguito a una operazione di appendicectomia. Nel corso della sua degenza era andata a trovarla la madre: la sua presenza spinge la protagonista a ricordare l’infanzia vissuta nella miseria e nella durezza, insieme alla sorella e al fratello. In Oh William! Lucy riprende il filo di quella storia, ma lo fa rivolgendosi a chi legge come se si trattasse di vecchi conoscenti, con cui può permettersi degli accenni al passato, sicura che lettrici e lettori capiranno.
Oh William! È un’espressione che Lucy ripete spesso nel corso del romanzo, per dimostrare costernazione, a volte compassione o anche biasimo nei confronti del suo primo marito, incontrato negli anni dell’università e con il quale ha avuto due figlie, ormai adulte: Chrissy e Becka. Il romanzo racconta, con uno stile colloquiale, il legame tra Lucy e William, dai tempi del fidanzamento, dell’idillio, ai primi anni di matrimonio, quando la protagonista, pur amandolo, non riusciva a essere presente in quella relazione, preda dei fantasmi del suo passato e dell’ossessione per le ingiustizie subite dai suoi familiari. William diventerà un traditore seriale e lei deciderà di lasciare lui e le sue figlie, con cui poi recupererà un ottimo rapporto. Il presente della storia raccontata nel romanzo vede i due ultrasessantenni: Lucy ha appena perso il suo secondo marito, David, che amava molto o con cui ha vissuto una vita fatta di sola gioia, mentre William viene lasciato dalla sua terza moglie Estelle.
Al cuore del romanzo c’è il viaggio che i due compiono insieme alla ricerca delle origini di William, che è figlio di un prigioniero di guerra nazista, deportato negli Stati Uniti e poi liberato. Soprattutto al centro di questa storia, a occupare una posizione di coprotagonista, c’è Catherine Cole, la madre di William. Lucy racconta dei tempi in cui la suocera decideva che cosa la giovane sposa potesse indossare e cosa no, quale sport fosse meglio praticare per lei, senza nessuna acredine. Catherine Cole era una donna amabile e generosa e Lucy era legata a lei in modo sincero, occupandosene anche nel periodo della malattia, fino alla morte.
Nel viaggio alla scoperta dei misteri di Catherine Cole, William e Lucy capiranno qualcosa che tutte e tutti noi possiamo riscontrare qualche volta nella vita: il fatto che tendiamo a innamorarci di personalità simili a quelle dei nostri genitori o delle persone che si sono prese cura di noi nell’infanzia. Non solo. Oh William! è un romanzo che descrive con una naturalezza e una scorrevolezza davvero rare l’evidenza che ci sono alcune relazioni, degli incontri, che resistono nel tempo, che sopravvivono nonostante tutti i tentativi fatti perché accada esattamente il contrario. La ragione di questa indissolubilità sta forse nel fatto che si tratta di legami nati a partire dalla ricerca in quell’amore, appunto, della madre o del padre, dalla proiezione di un bisogno antico di riconoscimento, che va ben oltre la scelta razionale di un compagno e di una compagna.
Elizabeth Strout sa descrivere questa eventualità senza mai cercare di imporre la verità a chi legge e senza mai allontanarsi dalla sua voce narrante, cioè dal tono di Lucy, che ci racconta del suo legame con il primo marito con umiltà, con la confusione tipica di chi sta vivendo una condizione e non può adottare la necessaria distanza per analizzare e comprendere ciò che accade, perché: «è così che funziona la vita. Non sappiamo un mucchio di cose finché non è troppo tardi».
Bibliografia
Elizabeth Strout, Oh William!, Einaudi, Torino, 2022.