Duane Hanson, Man with Walkman, 1989, Resina di poliestere dipinta a olio, tecnica mista e vari oggetti, 132.1 x 61 x 106.7 cm, Foto: Courtesy Gagosian Gallery © 2021, ProLitteris, Zurich

Oehlen, la belva

Al MASI di Lugano viene proposta una retrospettiva di opere e collezioni dell’artista tedesco
/ 03.01.2022
di Ada Cattaneo

Autore dirompente, Albert Oehlen ha la sua fase più alta negli anni Ottanta. Se si prova a classificarlo, il suo lavoro viene annoverato fra quello dei «Neue Wilde» (o Nouveaux Fauves, «nuove bestie», su calco della corrente del Fauvismo affermatasi in Francia a inizio del XX secolo). Si tratta di autori di origine tedesca che dipingono tele di grande o grandissimo formato, da leggere in risposta al minimalismo degli anni Sessanta e Settanta, dove prevalgono i colori sgargianti, stesi in gesti violenti e accompagnati da riferimenti continui alla storia dell’arte o alla cultura visiva di massa. Fra di essi, Georg Baselitz e Martin Kippenberger. Ma la tendenza che si afferma in Germania non è isolata ed esperienze analoghe si ritrovano in altri paesi europei – si pensi alla Transavanguardia italiana – o in America, con autori come Julian Schnabel. Presto molti di loro saranno protagonisti di un improvviso quanto smodato successo economico: il record segnato dalla vendita di un’opera di Oehlen (un autoritratto del 1998) sfiora gli otto milioni di dollari. Eppure, i valori di mercato non garantiscono necessariamente valori formali altrettanto duraturi, tanto che alla prova del tempo il lavoro di alcuni di questi artisti sembra non comunicare più un effettivo senso di attualità.

La rilevanza della mostra in corso a Lugano dall’ironico titolo Grandi quadri miei con piccoli quadri di altri si colloca su un versante particolare, quello cioè dell’artista curatore e collezionista. Spesso gli artisti sono raccoglitori ed accumulatori, che amano sistemare il frutto delle loro ricerche in collezioni sistematiche. Si può trattare di oggetti delle più varie tipologie, dalle miniature di opere d’arte di Rachel Whiteread agli «Harems» – questo il nome delle sue mille collezioni, da quelle di cucchiaini e di marmi a quella di biglietti da visita – di Mike Kelley. Il senso di quest’attività non è fine a sé stessa, bensì si connota come vera e propria forma di espressione. Gli oggetti (più o meno preziosi in senso assoluto, ma quasi sempre dal grande significato personale) vanno a costituire un archivio dell’autore: questi può decidere di conservarli per sé, senza renderli pubblici, utilizzandoli come fonte d’ispirazione, oppure può scegliere di inserirli nelle proprie opere, anche rielaborandoli. È quest’ultima una pratica che si diffonde ampiamente nell’arte contemporanea. Si pensi al collage dei Surrealisti o all’assemblage di Nouveaux Réalistes come Tinguely, dove il collezionismo dell’artista fornisce non soltanto una serie di modelli, ma un vero e proprio inventario di elementi che, se combinati dall’artista, concorrono alla creazione dell’opera.

Diverso è il caso della collezione di opere artistiche realizzate da altri autori: spesso sono coloro che li hanno accompagnati nel percorso professionale e creativo, perciò le opere sono testimonianza di affetti, oltre che possibile fonte d’ispirazione. In altri casi, invece, l’artista si comporta alla stregua di un qualsiasi altro collezionista, ricercando il pezzo mancante in una serie riunita negli anni. Sempre, però, si può disegnare attraverso le collezioni una vera e propria mappa delle influenze reciproche fra autori.

Si aggiunge poi un’altra questione, cioè la pratica diffusa negli ultimi anni da parte delle istituzioni museali di invitare artisti in veste di curatori di esposizioni collettive. In alcuni casi, come quello di Oehlen a Lugano, ad essere esposte sono proprio le collezioni d’artista appena citate, proposte in un allestimento ideato dallo stesso proprietario. Finora il Museo d’arte della Svizzera Italiana non aveva ancora ospitato eventi di questo genere. Il valore di questi episodi risiede, oltre che nella possibilità di osservare oggetti solitamente mantenuti privati, nel poter ricercare il filo rosso che collega le opere in mostra alla personalità del loro proprietario. In Svizzera, si possono citare i casi di Olivier Mosset o di John Armleder, che hanno esposto le proprie collezioni private. C’è poi il caso peculiare dell’artista belga Francis Alÿs, che nel corso degli anni ha raccolto un grande numero di immagini di Santa Fabiola, raffigurata sempre secondo la stessa iconografia di ritratto femminile di profilo, con un manto rosso a coprire il capo, per poi esporle tutte a distanza ravvicinata, realizzando così una vera e propria installazione.

A Lugano la selezione di Oehlen riunisce autori storicizzati di prim’ordine, come Gino De Dominicis, Duane Hanson, Willem de Kooning, con autori più marginali (come quelle del fratello Markus), testimoniando quindi i vari livelli di significato ai quali una collezione di artista può assolvere, dai modelli storicizzati ai legami affettivi. Sono poi esposte anche alcune tele delle stesso Oehlen, che in quest’occasione si leggono alla luce della fitta rete di contaminazioni reciproche fra autori del Novecento.

Dove e quando
Albert Oehlen
Grandi quadri miei con piccoli quadri di altri.
MASI LAC, Lugano. Fino al 20.02.2022.
www.masilugano.ch/it/albert-oehlen