L’essenza del teatro è nella narrazione. Anche la narrazione è linfa per il teatro, dove tutto è finto ma niente è falso, come ricorda un’aforisma di Gigi Proietti. Tutta la sua dimensione è contenuta in quell’aforisma così come la sua fascinazione è parte dell’abito che indossa la stessa narrazione. Abbiamo ritrovato quelle fondamentali caratteristiche nella riuscita e appena conclusa ventunesima edizione del Festival internazionale di narrazione di Arzo, un insieme di proposte che hanno saputo conservare un carattere aperto lasciando che l’atmosfera, tra finzione e verità, creasse immagini e emozioni anche su temi delicati e scottanti.
Oltre ad aver allargato i suoi confini coinvolgendo Meride e Tremona, il Festival di Arzo, nonostante le pause forzate e le esigenze dettate dall’emergenza sanitaria, non ha deluso le aspettative. Spettacoli, incontri, installazioni e intrattenimento hanno animato i tre borghi lasciando spazio alla socialità e al dialogo, caratteristiche che accompagnano l’evento sin dalle prime edizioni. Abbiamo accennato a momenti coinvolgenti per attualità e importanza. Non solo per i soggetti trattati, ma anche per i protagonisti in scena. Ci riferiamo a Mario Perrotta e Saverio La Ruina, due esponenti di spicco e pluripremiati della drammaturgia italiana contemporanea attraverso soluzioni interessanti e originali.
La cifra teatrale di Perrotta ha trovato nuovamente conferma al Festival di Arzo, una piazza dove ha già avuto modo di esordire con successo con la sua Odissea. Percorsi che ama anche costruire in trilogie, come ad esempio quella dedicata a Antonio Ligabue a cui ora si aggiunge In nome del padre, uno spettacolo frutto di un intenso dialogo con lo psicoanalista Massimo Recalcati sulla dissoluzione della figura del padre come tratto tipico del nostro tempo. Perrotta ricostruisce per il palco tre padri diversi per carattere, formazione e provenienza: un giornalista siciliano, un operaio lombardo e un imprenditore napoletano che hanno in comune il dialogo mancato con i propri figli: un vuoto difficile da colmare.
Saverio La Ruina ha riportato alla luce Polvere. Dialogo tra uomo e donna, un testo che indaga, attraverso una dinamica di falsa, subdola e minacciosa pacatezza, situazioni di violenza domestica dell’uomo sulla donna, preludio del femminicidio. Un rapporto che nasce da una gelosia morbosa, dove basta un nonnulla per scatenare sospetti e che mostrano una sindrome di Otello, quando le ferite e le umiliazioni verbali possono trasformarsi in violenza fisica. Lo spettacolo è nato nel 2015 e dimostra purtroppo ancora tutta l’attualità della problematica anche grazie all’ottima interpretazione di Cecilia Foti ben sorretta dallo stesso La Ruina.