L’incontro con la danza contemporanea svizzera è sempre l’occasione per farsi un’idea del suo stato di salute e meglio conoscerne i protagonisti. La stagione del LAC la sta promuovendo con un certo successo e con l’obiettivo di accentuarne l’offerta con appuntamenti all’interno delle proposte di cartellone ma anche inserendo proposte che proiettino la disciplina sul piano internazionale. Di recente, sul palco della sala teatrale trasformato in tribuna, il pubblico ha accolto la compagnia della basilese Tabea Martin con Nothing Left, una delle coreografe più interessanti della nostra scena. Dopo una formazione fra l’Accademia di Belle Arti di Amsterdam e a quella di Danza di Rotterdam, la coreografa e danzatrice elvetica si è imposta sul piano nazionale firmando diverse produzioni che ne hanno aumentato il prestigio facendole anche vincere numerosi premi fra i quali, i Berner Tanzpreise (2015) e il Premio Cultura del Canton Basilea Campagna (2016). N
Nothing Left, dopo il debutto nel 2021 nell’ambito della rassegna Steps promossa dal Percento Culturale (ormai una sorta di mentore per la carriera di Tabea Martin), è dunque approdato a Lugano con tutta l’esuberanza che contraddistingue la cifra stilistica della Martin nell’utilizzare l’essere umano come una sorta di strumento con il fine di interpretare il mondo attraverso paradigmi formali ed estetici.
Il tema portante dello spettacolo è la morte che, nonostante il suo carattere apparentemente scabroso, viene sviluppato con un approccio ironico. Come ci comportiamo di fronte a un lutto, con quale atteggiamento, quali luoghi comuni, che tipo di approccio cerchiamo di creare per supplire all’assenza? In Nothing Left, tassello di una trilogia che indaga l’argomento a partire dal deperimento del corpo fino alle rappresentazioni che si danno alla vita dopo la morte, si celebra il lutto attraverso il movimento, la danza e il corpo collettivo di otto strepitosi danzatori. Dal grottesco delle domande create sulla memoria individuale al gioco di una cultura del trapasso con frasi proiettate sulla parete, la Martin costruisce un disegno potente, provocatorio, efficace. I danzatori, accompagnati in scena dai suoni campionati e dal drumming di Samuel Rohrer, costruiscono un mosaico ritmico di effetti a catena a corollario dell’essenza di una comunicazione che finisce col rivelarsi effimera. Applausi convinti agli interpreti e alla loro positiva energia creativa.