C’è un capitolo della storia e di storia della musica che sta riemergendo solo ora; e prima di essere divulgato da studi, saggi e libri (il primo uscirà tra qualche mese) verrà rivelato in uno spettacolo in scena al LAC giovedì 26 aprile: Serata colorata, traduzione di Bunter Abend, con cui venivano definiti i concerti che si tennero a Ferramonti negli anni 40 del secolo scorso.
Ferramonti è un paesino sperduto della Calabria dove Mussolini aveva istituito uno dei suoi 48 campi di internamento, versione italica dei ben più noti lager nazisti. E anche nel Belpaese vi fu, con i debiti distinguo, una sorta di Theresienstadt, il lager modello dove si facevano concerti e spettacoli teatrali. «Accadde qualcosa di clamoroso: in quel campo risuonarono le arie di Verdi e di Wagner, le Polacche di Chopin e i Lieder di Schubert, canti liturgici polifonici e cabaret viennese; si ascoltavano violini e fisarmoniche, un armonium e addirittura un pianoforte a coda; ma a differenza di Theresienstadt praticamente nessuno se ne accorse; ed è forse per questo che quanto accadde là tra il 1941 e il 1944 sta emergendo solo ora, e solo grazie a una circostanza fortuita».
Lo racconta Raffaele Deluca, musicologo che da cinque anni indaga sulla musica a Ferramonti. «Nel 2013 un’erede di Kurt Sommerfeld, prolifico autore nato nel 1921 e scomparso nel 1997, venne in Conservatorio a Milano per regalare le partiture autografe del nonno; erano circa 300, mi incuriosirono alcune che recavano come luogo di composizione Ferramonti. Iniziai a indagare ed emerse un mondo impensabile: non si sa bene per quali strane circostanze, ma nel campo di internamento di quel paesino calabro arrivarono oltre sessanta musicisti e professionisti dei più svariati ambiti; si diceva che fosse più facile trovare un notaio o un medico che un pelapatate». E infatti fu proprio un medico a permettere l’arrivo dei violini al campo: «In un paese limitrofo, Bisignano, c’era il liutaio Nicola De Bonis: aveva dei problemi gastrici e fu proprio grazie a un medico internato che poté avere una diagnosi corretta e una giusta cura; per gratitudine lui, che era specializzato in fisarmoniche, imparò a costruire violini per offrirli ai detenuti».
Tra i violinisti c’era Isaac Thaler, che fino a poco prima beveva e discuteva al viennese Café Museum con Berg, Schönberg e Webern, la trinità della seconda scuola di Vienna. Tra le personalità di maggior spicco c’era Lav Mirski, rinomato direttore d’orchestra che a Ferramonti assunse la guida del coro. «Un’altra pagina miracolosa di questa storia incredibile. Da Belgrado era stato deportato un intero coro della sinagoga cittadina, e siccome era stato concesso che tre baracche fossero adibite a sinagoga, chiesa per i cattolici e chiesa per i greci ortodossi lì internati, il coro non solo iniziò ad accompagnare le funzioni per la comunità ebraica, ma imparò i canti delle altre due liturgie e prestò per tutta la durata del campo triplo servizio; un esempio di ecumenismo e di umanità spettacolare capito dagli stessi agenti di polizia e dalle milizie fasciste, che si radunavano davanti alle baracche per ascoltare quei canti così belli».
Ma Deluca ha scoperto un altro episodio che vede Mirski protagonista; a raccontarlo nello spettacolo in scena al LAC e firmato da Viviana Kasam sarà Peppe Servillo, voce narrante che intervallerà con aneddoti e cronache le parti musicali. «L’episodio venne registrato da Israel Kalk, un ingegnere lituano che, avendo creato la mensa dei bambini per soccorrere gli internati nei campi fascisti, ottenne il permesso di visitare Ferramonti; le sue carte manoscritte compongono oggi il Fondo di Ferramonti ospitato dal Centro di Documentazione Ebraica di Milano.
C’era nel campo un certo Oliva, agente dell’OVRA, la Polizia Segreta fascista, e lì avente funzione di censore della corrispondenza, nonostante non conoscesse né il tedesco né altre lingue estere e lì vi fossero soprattutto stranieri. Era una delle persone più temute non solo dagli internati, ma anche e forse soprattutto dai funzionari e dagli agenti di polizia. Oliva aveva una sfrenata passione per la musica e pretendeva un’ora di lezione al giorno dai musicisti ebrei internati.
Una notte del 1942 Oliva bussa alla baracca di Mirski svegliandolo bruscamente. Sostiene di essere in preda a un’improvvisa e irrefrenabile ispirazione. Vuole comporre un inno con il quale intende partecipare a un concorso musicale per compositori fascisti che si terrà da lì a poco a Roma. Essendo musicalmente quasi analfabeta e quindi incapace di comporre anche un solo accordo, pretende che Mirski, insieme a Sternberg e ad altri due musicisti, scrivano per lui la partitura. Ardui sono i tentativi dei compositori di decifrare l’ispirata follia di Oliva; all’alba l’inno è terminato e Oliva lo invia gongolante alla Commissione di Roma. Dopo tre settimane, i quattro musicisti vengono convocati d’urgenza presso l’ufficio di Oliva. Alla radio stanno trasmettendo l’annuncio del trionfo del “Maestro” Oliva, primo classificato con il suo inno L’Italia vincerà».
Dei concerti che vennero organizzati a Ferramonti, Deluca ha recuperato finora 14 programmi : «Venivano dattiloscritti e distribuiti: Mozart e Brahms, Chopin e Schubert, il Coro dei pellegrini dal Tannhäuser di Wagner e arie di Verdi; c’era Paul Gorin, cantante di Lipsia che aveva in mano i contratti con la Scala per cantare Madama Butterfly e La fanciulla del West; all’inizio si accompagnava con la fisarmonica, poi con il pianoforte e poi anche con l’orchestra». Musiche che giovedì saranno eseguite tra gli altri da Fabrizio Bosso, celebre trombettista il cui padre studiò con Oskar Klein, anch’egli virtuoso della tromba e internato a Ferramonti. «Non ebbe la rinomanza di Theresienstadt perché attorno c’era il nulla, campi e pastori analfabeti; e i poliziotti non capirono il valore di quanto stava succedendo, tolleravano il far musica perché dicevano che serviva a far star buoni gli internati».