Ai limiti dell’iconolatria e del feticismo, tollerati se non proprio incoraggiati dall’istituzione ecclesiastica, negli oggetti sacri casalinghi che configurano un immaginario fondato sul rapporto individuale con Dio, con la Madonna, coi santi, è misurabile l’adattamento della religione alle situazioni storiche, al divenire sociale. Dalla sobrietà dei modi di vita contadina proviene il profilo disadorno e antiretorico di preghiere e di figurazioni opposte allo sfarzo di non poche manifestazioni ufficiali della fede, a volte ai confini con la vanità mondana. Dalla concezione di vita borghese, ripiegata sulla condizione individuale, proviene la disposizione affettiva alla traduzione delle regole in sollecitazioni sentimentali, espressa nell’immagine del cuore trafitto dalle spine.
Quale spazio era concesso alla musica, accanto ai quadretti con le immagini dei santi, alle corone di spine, ai rami di olivo, ai fiori di carta e a tutta la restante oggettistica religiosa cattolica? In verità da tempi immemori dovette esistere un canto religioso per funzioni extraliturgiche, perlomeno dalla lauda intonata dalle confraternite medievali, dalla lauda degli oratori filippini del Cinquecento fino ai Noël francesi, ai canti natalizi, integrati nella liturgia parrocchiale e certamente cantati anche in ambito domestico. Negli anni della Rivoluzione in Francia, quando la campagna anticlericale degenerò nella distruzione degli organi nelle chiese e nella soppressione delle cappelle e delle scuole musicali nelle cattedrali, nelle abbazie e nelle parrocchie, la musica d’uso religioso familiare dovette anzi intensificarsi.
Il significato fondamentale di questa cesura fu riconosciuto da Raimondo Boucheron nella sua Filosofia della musica (Milano 1842): «La crisi politica che sconvolse l’Europa in sul cadere del passato secolo mosse guerra all’altare non meno che al trono. Gli uomini ingannati dai sofismi di torbide menti abbjurarono in massima la religione. L’anarchia, più eloquente delle teologiche confutazioni, fece conoscere l’errore. Fu abbjurato alla sua volta l’ateismo, e la ragione fatta saggia dalla speranza venne pure a proclamare unica vera la religione del Vangelo. Ritornammo cristiani, ma non per anco divoti. Quando saremo tali, le arti riassumeranno il vero carattere religioso; avremo una musica sacra comunemente intesa e veramente nostra, perché sarà l’espressione vera di un affetto provato».
Senza più certezza di riferimento stilistico al di là dell’«affetto provato» le motivazioni per il rinnovamento della musica sacra non venivano cercate nella sua funzionalità più o meno monumentale ma nel sentimento, nella manifestazione di fede privata. Crebbe in tal modo un filone di musica religiosa che non implicava più direttamente la destinazione a risuonare sotto le volte di una cattedrale ma con caratteri di scrittura a misura dell’ascolto individuale, che manifestavano predilezione per l’accompagnamento organistico, spesso dichiaratamente di harmonium, strumento presente non solo nelle piccole chiese ma anche negli ambienti domestici, per non parlare del pianoforte usato con sempre maggiore frequenza a sostegno delle parti corali. Si tratta di una maniera che ovviamente non si imponeva in modo esclusivo e che rimaneva subalterna, ma che si insinuava anche nelle paludate composizioni destinate alle grandi occasioni.
Ne troviamo traccia nella Messe solennelle à Saint-Cécile di Charles Gounod, dove il soprano intona il «Gloria» librato al di sopra di un coro a bocca chiusa, combinazione sonora priva di riferimenti ufficiali ed esibita in base al valore di provocazione soggettiva dal tenue esito. D’altra parte è significativo il fatto che nell’«Agnus Dei» il compositore volesse che la seconda invocazione sulle parole «Domine non sum dignus» fosse affidata «al soprano, simbolo del fanciullo, in cui la tema è minore e la fiducia più grande a causa della serenità che gli viene dall’innocenza».
Non solo ci troviamo di fronte a una rivendicazione del diritto alla soggettività dell’espressione musicale sacra, ma non vi passa inosservato il riferimento al fanciullo, all’incarnazione dell’innocenza e della beatitudine a cui l’espressione ambisce ad assurgere, non per la via speculativa di una scrittura musicale epurata attraverso la disciplina compositiva, ma per la via diretta dell’ispirazione lirica, della resa all’affettuosità del dialogo con l’infanzia, in una soluzione che fa appello alla quotidiana esperienza della famiglia.
Non è un caso che nel lungo catalogo delle composizioni religiose di Gounod spuntino titoli quali Quand l’enfant prie, l’Ave Maria de l’enfant, Jésus à l’autel (souvenir de première communion), ecc., che il tema della preghiera si imponga in quanto legato alla scansione del tempo casalingo (La prière et l’étude), che l’evocazione dell’angelo custode (Messe des anges gardiens) muova la musica alla ricerca di un sonoro candore liliale.
A questo punto può essere riletta l’Ave Maria composta da Gounod sul primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach, convenzionalmente indicata come manifestazione paradigmatica del kitsch, che alla luce della concezione della religione integrata nelle pratiche familiari rispecchia piuttosto (magari diventando occasione per l’esibizione della figlia cantante prediletta nel salotto di casa) l’immagine di continuità tra lo studio giornaliero al pianoforte e il momento della preghiera.
Se si tratta di un filone che ha certamente ceduto al kitsch con l’abuso delle varie Prière d’une vierge, esso ha anche portato ad alti esiti quali il Requiem di Fauré, nell’assenza di ogni clamore e nel parco organico sommessamente messo in opera, filone particolarmente coltivato in Francia almeno fino al florilegio di composizioni religiose di Francis Poulenc, il quale usava rifarsi alla «dévotion paysanne» e che si sottraeva agli obblighi di comporre per le funzioni di grande prestigio: «Cerco di dare un’impressione di fervore e soprattutto d’umiltà, per me la più bella qualità della preghiera. La mia concezione della musica religiosa è essenzialmente diretta e, se così posso dire, familiare… Nessun Te Deum per Notre-Dame».