Il plot è universalmente noto: Nora, sposata all’apparenza felicemente con Torvald Helmer, e da questi considerata nulla di più di un grazioso animaletto domestico, uno «scoiattolino», «un’allodola», è intrappolata in una vita che la costringe a restare bimba, impedendole di diventare una persona matura e autodeterminata. Finché non accade qualcosa di così grave da farle provare un forte anelito alla libertà di esercitare il proprio pensiero e di ribellarsi.
Il pregresso: Nora aveva chiesto un prestito all’avvocato Krogstad per pagare delle cure per il marito, falsificando la firma del padre e diventando così ricattabile. Quando Krogstad viene a sapere che Torvald intende licenziarlo, minaccia di raccontare tutto; Nora, incoraggiata dall’amica d’infanzia e ora confidente Kristine, ammette l’accaduto al marito, il quale, dimostrando tutta la sua borghese grettezza d’animo, accusa la moglie di essere una criminale non più degna di occuparsi dei figli, invitandola però a condurre davanti agli altri la vita di prima. Nora decide invece di ricostruirsi una nuova vita perché, letteralmente, prima di essere moglie e madre, è una persona.
Ricordiamo qui che, alla sua uscita nel 1879, Casa di Bambola suscitò scandalo e Ibsen fu costretto a proporre un finale più tradizionale con Nora che resta in famiglia. Il giovane regista russo Timofej Kuljabin, internazionalmente acclamato per un allestimento de Le Tre Sorelle di Cechov nel linguaggio dei segni, decide di trasporre la sua Nora («da» Ibsen, recita il programma di sala) in un contesto contemporaneo, avvalendosi dunque di tablet e Smartphone, cioè mettendo a fuoco il forte messaggio ibseniano via Whatsapp e SMS.
Tant’è, la pièce è stata oggetto di molteplici letture e riletture, peraltro sempre riuscendo a testimoniare la propria modernità e universalità e un significato ultimo capace di parlare anche al pubblico di oggi. In fondo i due protagonisti sono vittime dell’incapacità di comunicare realmente, non diversamente, per molti detrattori delle nuove tecnologie, dagli utenti di cellulari e social network.
Sullo schermo gigante vengono proiettati e doppiati i messaggi digitati in tempo reale, così da rendere per lo meno la velocità e la pregnanza dei dialoghi, mentre gli attori, ridotti a quattro più le comparse, si muovono nelle diverse situazioni o momenti della giornata vivendo le loro due vite, quella reale, quotidiana e di facciata, e quella virtuale, vero monitor del dramma imminente. Più si avvicina il momento clou, più frenetico e non senza errori ortografici (comunque, come no, subito corretti) è lo scambio di messaggi e, va pur detto, più avvincente.
Funziona perfettamente, dunque, anche questa non convenzionale messinscena di Kuljabin (scene e costumi di Oleg Golovko, Luci di Frank Bittermann) e secondo chi scrive, forse proprio perché uno dei temi fondamentali della pièce in esame è quello della comunicazione/non comunicazione nella coppia e altrove. Resta da dire del caloroso applauso degli spettatori (quelli rimasti dei molti partiti alla pausa e anche prima) presenti allo Schiffbau, indirizzati agli attori Lisa-Katrina Mayer (Nora), Fritz Fenne (Torwald), Christian Baumbach (Krogstad), Isabelle Menke (Kristine).