La sconvolgente foto vincitrice scattata da Burhan Ozbilici ad Ankara lo scorso dicembre (worldpressphoto.org)


Non solo i clic sono da premiare

Fra le numerose e impressionanti immagini valutate e premiate, molte vedono protagoniste donne e bambine
/ 24.04.2017
di Ovidio Biffi

Sommerso da premi che vantano una maggiore presa mediatica, in febbraio da oltre mezzo secolo viene reso noto l’esito del concorso per le migliori fotografie dell’anno, organizzato dalla World Press (WP). Sede in Olanda, ente no-profit, la WP deve la sua fama non tanto all’ammontare dei premi del suo Photo Contest, ma piuttosto al prestigio che gli autori delle fotografie premiate gli regalano, ricevendone in cambio popolarità. Un po’ quello che capita con gli Oscar cinematografici: non è la statuetta, forse dorata, a renderli ambiti, bensì il fatto di averla ricevuta e, solitamente, anche meritata. In una era, come la nostra, in cui l’immagine è la quintessenza dei messaggi mediatici, il fotogiornalismo riveste un ruolo di primissimo piano che spesso supera, in tempismo e in qualità, anche il giornalismo d’inchiesta televisivo e della stampa scritta. Non a caso telegiornali e servizi speciali in tv o sui giornali online sono spesso costretti a ricorrere a fotografie o brevi filmati digitali quando l’emergenza sconvolge palinsesti e tempi redazionali.

I dati rilasciati dagli organizzatori del concorso WP parlano chiaro: oltre 5000 fotografi di 125 paesi partecipanti e oltre 80’000 fotografie esaminate nelle otto categorie previste dal concorso della fondazione olandese. Le migliori fotografie delle varie sezioni in aprile saranno esposte ad Amsterdam in una mostra che poi compirà un tour mondiale che toccherà 45 paesi.

Quest’anno il premio più ambito l’ha vinto Burhan Ozbilici, il coraggioso fotografo turco che il 14 dicembre scorso ad Ankara ha documentato, a pochi metri di distanza e durante un lungo lasso di tempo, l’assassinio dell’ambasciatore russo in Turchia da parte di un terrorista. Tutti i lettori avranno ancora nella loro memoria visiva la coraggiosa testimonianza di fotogiornalismo che dalla cronaca quasi rosa (l’inaugurazione di una mostra d’arte) passa alla tragedia, con l’obiettivo a seguire l’assassino che di colpo avrebbe potuto decidere di cancellare la vita anche del fotografo.

Dato che il concorso suddivide i lavori in varie sezioni e i premi sono numerosi, elencare e descrivere le fotografie premiate nelle varie categorie (anche se spesso rasentano la perfezione artistica) risulterebbe piuttosto stucchevole, visto che entrando nel sito www.worldpressphoto.org è possibile vederle tutte e avere anche dati sui soggetti ritratti, nonché sugli autori dei reportages. Inoltre molti lettori avranno già visto le migliori sul web o nei resoconti della premiazione su giornali, riviste o televisioni. Proprio passando in rassegna una «compilation» dei lavori premiati mi sono accorto di un «fil rouge» che, oltre a non risultare secondario, è meritevole di essere commentato.

Inevitabile che le fotografie di un simile concorso ripresentino il drammatico rosario che durante l’anno la cronaca quotidiana propone, e spesso impone a chi segue, commenta o diffonde l’informazione. In prevalenza rievocano infatti guerre, attentati terroristici, violenze, miserie, delitti, malavita ecc. e non è un caso che giornali e siti web mostrino le foto premiate avvisando che alcune immagini possono essere «molto impressionanti». I clic fotografici quest’anno hanno però un contenuto preponderante che merita di essere posto in risalto: la presenza femminile.

Nella «galleria» delle immagini del 2016, sono le donne in prevalenza a tessere un lungo filo conduttore che parla della loro forza interiore, del loro coraggio, della loro resistenza, e purtroppo anche dei loro drammi. Sono le desolate madri che reggono neonati vittime del virus Zika in America latina. Sono donne come la giovane che cammina decisa contro un muro di poliziotti schierati contro chi protesta per l’uccisione di un giovane nero da parte di due agenti a Baton Rouge (Lousiana). Oppure come due giovani nigeriane in lacrime in un centro libico per migranti dove, in attesa di riprendere la loro fuga, vengono picchiate e aggredite sessualmente. O, ancora, come l’incredibile donna canadese priva di gambe e di braccia che, con l’ausilio di catene, compie esercizi di sollevamento pesi e dichiara «io non voglio essere “brava” per essere qualcuno senza braccia e gambe, voglio essere brava e basta». 

Sono tante, molte rievocano drammi indicibili o storie lancinanti, e nella mente di chi le guarda lasciano ricordi indelebili: dalla paura dei visi di innocenti bambine intrappolate da bombardamenti o da barbare occupazioni negli abitati in Iraq o in Siria alle lacrime di una bambina messicana davanti alla bara del papà torturato e ucciso dai trafficanti di droga.

Certo, tra le premiate dal WP Photo Contest ci sono anche immagini «quiete» che riguardano sport, paesaggi e natura, il mondo animale. C’è persino quella di Usain Bolt che sorride mentre vince i 100 m alle Olimpiadi di Rio. Ma sono rare e non riescono a far dimenticare le altre, quelle che, oltre a «gridare», fanno anche nascere la speranza che, almeno in parte, certi conflitti e le troppe vicende dolorose abbiano finalmente a cessare, soprattutto quando protagonisti e vittime sono donne e bambini.