Bibliografia
Jens Steiner, Carambole. Un romanzo in 12 round, traduzione di Massimo Bonifazio, Scritturapura, 2020, p. 145, € 16


Non accadeva nulla anche se accadeva tutto

In Carambole, romanzo dello svizzero Jens Steiner, una serie di esistenze strane e insolite
/ 26.04.2021
di Luigi Forte

Non l’alienazione e il caos delle grandi metropoli, ma il vuoto e il torpore di un anonimo paesino svizzero diventa la problematica cifra dell’esistenza in Carambole. Un romanzo in 12 round dello svizzero Jens Steiner, uscito nel 2013 ed ora proposto dalla casa editrice Scritturapura nell’ottima versione di Massimo Bonifazio. Steiner, nato a Zurigo nel 1975, a suo tempo insegnante e lettore, si era fatto conoscere due anni prima con Hasenleben (Vita di lepre), la drammatica storia di una giovane donna con due figlioli, alla ricerca di stabilità e sicurezza che la vita le preclude. Ora il ritratto di un mondo senza speranza, afflosciato fra gesti e rituali esangui in cui il futuro sembra inseguire il passato, assume una dimensione corale.

Steiner scava nell’infelicità anche se tra i suoi protagonisti ci sono Igor, Fred e Manu, tre adolescenti alla fine dell’anno scolastico che s’aggirano con occhi curiosi e tanta voglia di dare un senso alle loro giornate.
Cercano d’inventarsi un salto vigoroso dentro l’esistenza ascoltando le storie di Schorsch con la sua aria da spirito dei boschi e un «sorriso nodoso», che parla della Corsica e dei banditi di laggiù, mentre trotterella verso il fienile dove nutre i gatti randagi o sentenzia come il peggiore dei nichilisti: «Rallegratevi della vostra stoltezza – dice ai ragazzi –, perché dietro di essa c’è l’infelicità che vi aspetta. E dietro l’infelicità non c’è più niente». Ma a loro basta poco, girellando fra quelle quattro case o immaginando, come Fred, la compagna Renate, magari distesa sulla sdraio in bikini, una bomba che «fa tic tac» e di lì a poco verrà catapultata via disegnando un arco in aria e lui allora la prenderà, mentre il suo sguardo vaga nel giardino del signor Freysinger e gli amici gli si accodano in questa fantasia erotica e surreale.

In tutto il romanzo vibra la sensazione di un’esistenza pronta a deflagrare, l’attesa di un mutamento repentino, la prospettiva di un orizzonte oltre il confine quotidiano. È un tuono improvviso, l’esplosione di un serbatoio del gas nella fabbrica del paese che disegna in cielo un fungo di fumo nero e ritorna a più riprese nel racconto come un leitmotiv: il segnale della vita che si azzera, forse per ricominciare. Ammesso che prima o poi un inizio ci sia, perché nelle pagine di Steiner tutto sembra confondersi fra le ombre quotidiane. Non è un caso che il suo racconto proceda avanti e indietro, e gli stessi fatti siano colti da prospettive diverse e amplificate a seconda dei personaggi.

È quest’epica del quotidiano con una buona dose di stimolanti riflessioni che coinvolge il lettore fin dall’inizio in una carrellata di improbabili personaggi. Come Heinz, detto il nano, il coboldo, un garzone senza lavoro che vive in una tenda su un prato del comune, e di giorno si aggira qua e là e talvolta si fa vivo nella birreria da Hirscheneck, dove gli habitué ripetono le stesse storie all’infinito. Come quella dei due fratelli che dopo l’incidente mortale dei genitori si «presero a cornate» per l’eredità. La meglio ce l’ebbe quello che, come il vecchio padre, intrecciava e vendeva ceste, che all’improvviso si trovò accanto una giramondo, Marisa, figura un po’ fiabesca arrivata dal niente, in scarponcini, jeans e maglietta batik. Un amore strambo e improvviso che un bel giorno riprese il suo zaino e sparì.

Certo in quel borgo la felicità non è proprio di casa. Anche Edgar e sua moglie, i genitori di Renate, non riescono a creare un equilibrio familiare: lui va a piangere nel capanno degli attrezzi e lei si chiede, in preda alla disperazione: «Ma qual è la forza che ci strappa gli uni dagli altri?». E poi c’è chi scava una buca in giardino per costruire una piscina cercando di evitare la propria moglie e di non pensare ai suoi due figli, il maschio che combina poco, e la ragazza senza diploma, nessun marito e tre marmocchi. C’è solo da augurarsi che quei colpi di pala portino alla luce una scintilla di felicità, scoprendo nel profondo l’altro suo Io in cui infilarsi «come in una tuta da supereroe».

Forse il mondo è meglio vederlo attraverso il telescopio, come fa il gio-vane sulla sedia a rotelle, per verificare se tutti i pezzi del presente sono ancora disponibili. Laggiù c’è Hirschenbeck e il negozio della signora Munzinger, la fontana e i tigli. Questo è il giusto involucro della sua vita dopo il terribile incidente d’un tempo. La terapia migliore è proprio la distanza, e ne sanno qualcosa i tre membri della troika, Ricardo, Giorgio e Gustavo, che mangiano e bevono in una loggia vetrata sul tetto di una casa, pensando ai loro nemici più intimi: il passato, il presente e il futuro. Gustavo è un paleontologo appassionato di Epitteto, mentre Ricardo un tempo curava una coltivazione biologica, ma ora lavora in una segheria e continua a leggere e a citare Gramsci, così come Giorgio ama raccontare storie di Capraia e del pescatore che partiva ogni volta «convinto di non tornare».

Del resto, è difficile attraversare il turbinio dell’esistenza senza mai provare un impulso di fuga. Loro lo proiettano nel gioco del «carrom», che viene dall’India e che Ricardo chiama Carambole. Su una tavola da gioco si spingono con una piccola pedina rotonda altre pedine in alcuni buchi posti agli angoli. Una serie di mosse come i round del romanzo che non garantiscono alcuna certezza e meno che mai una vittoria, perché a volte la pedina giusta, guarda caso, è proprio quella sbagliata.

Jens Steiner ha oscurato il futuro nel suo romanzo e sembra condividere l’opinione di Schorsch che quello non sia un paese, bensì una prateria. «Siamo andati tutti via da tanto tempo. Non ci siamo più», dice in preda a un raptus quello strambo affabulatore di strada che finirà misteriosamente i suoi giorni nel fienile dei suoi gatti. Singolare romanzo Carambole, tra il conte philosophique e un realismo nutrito di figure sorprendenti e disilluse, preda del vuoto e in attesa che qualcosa accada. Ecco la segreta speranza che in un pomeriggio estivo attraversa il paese che non vuol perdere la propria anima né incepparsi in un presente indesiderato. E l’enigma è in quel finale che rimbalza su sé stesso: «Non accadeva nulla. Accadeva tutto».