Le emozioni più forti sembrano sopite, ma sono sempre lì, pronte a riattivarsi e colpire di nuovo. Facile, da questo punto di vista, costruire un dramma attorno al mondo della Formula 1. Il documentario di Hanns-Bruno Kammertöns, Vanessa Nöcker, e Michael Wech dedicato alla vicenda drammatica di Michael Schumacher (proposto da Netflix) di emozioni ne suscita molte. Lo fa con un certo distacco, in realtà, quasi per obbligo di cronaca. Sua figura chiave ne è non tanto il pilota tedesco, inchiodato oggi in un grave decorso posttraumatico, ma sua moglie Corinna.
Leggermente appesantita dagli anni, molto diversa dall’agile figura che vedevamo assistere dai box alle prodezze del suo innamorato, Corinna Schumacher appare oggi come la vestale che ha preso in mano il destino del marito e si occupa di dare una parvenza di normalità, nonostante tutto, alla vita di famiglia. Fissa, dignitosa, quasi un po’ congelata dal dolore, è lei che ripercorre, commentandola, la carriera del pilota. Alle varie fasi di quel percorso davvero epico, fatto di entusiasmi e delusioni, di successi e di brucianti sconfitte, durato dal 1991 al 2005, è lei a contrapporre l’immagine di un uomo sensibile, innamorato, attento, presente. Un ritratto del tutto diverso da quello del duro, inflessibile, spesso scorretto e antipatico Schumi che la cronaca sportiva ci ha fatto conoscere.
Era un bravo ragazzo, un ragazzo di cuore, dice Corinna. La grande questione rimane aperta, il giudizio sospeso di fronte a un destino così tremendo.