Forme accuratamente definite, un’esuberante gamma cromatica, un’equilibrio compositivo studiato nei minimi dettagli e la capacità di rappresentare ogni soggetto in una modalità inedita che ne rafforza la risonanza fisica ed emotiva. A osservare le sue opere ci si accorge subito di come Nicolas Party, nato a Losanna nel 1980, sia un artista innovativo e tradizionale insieme.
Innovativo perché ha riscosso un grande successo di pubblico e di critica sfidando le convenzioni della pittura figurativa attraverso la creazione di un linguaggio peculiare in cui l’immagine effigiata diventa una sorta di molla per catapultare l’osservatore in un universo straniante ed enigmatico. Ben consapevole dell’originalità della sua arte, Party ne conserva l’apparente ingenuità con un lavoro meticoloso. Il lavoro di chi non segue altre regole se non le proprie, riuscendo a trasformare le opere in micromondi dagli accenti onirici.
Tradizionale perché quella stessa pittura che l’artista ama provocare viene anche ostinatamente celebrata: Party rimane, nonostante tutto, un pittore ben radicato nella figurazione. Vero è che i suoi dipinti non riproducono la realtà così come appare, ma altrettanto vero è che non si distaccano mai completamente da essa. La sua arte prende vita da un dato reale che viene interiorizzato, manipolato dall’immaginazione e infine riproposto secondo canoni diversi. È così che con l’affascinante atmosfera fuori dal tempo e dallo spazio che caratterizza le sue opere, Party elabora una sintassi nuova trascrivendo una rappresentazione mentale affrancata da vincoli e convenzioni ma pur sempre riconducibile a un’entità esistente.
Quanto l’artista svizzero sia legato alla tradizione lo dimostra anche il fatto che alla base della sua pittura ci sia un costante dialogo con la storia dell’arte, con le correnti e con i grandi maestri del passato e della contemporaneità da cui si lascia liberamente ispirare per dare vita a continue connessioni tra le differenti epoche. Nei lavori di Party c’è molto della pittura surrealista nel condurre lo spettatore al di là di ciò che l’occhio vede, in un mondo ineffabile come il sogno; c’è il vibrante, impetuoso cromatismo dei Fauves nell’arbitrario accostamento dei colori che segue una coerenza insita esclusivamente nell’armonia della composizione; c’è l’approccio nitido e minuzioso alla descrizione dei dettagli tipico dell’arte olandese del Seicento; c’è tanta suggestione simbolista nella trasfigurazione poetica della realtà; c’è uno sguardo attento anche alla pittura elvetica, quella di Félix Vallotton, ad esempio, con i suoi intensi dipinti privi di profondità, o quella di Ferdinand Hodler, con le sue opere dal tratto forte ed espressivo. E poi ci sono gli stimoli provenienti da donne dell’arte come Rosalba Carriera, la signora del pastello, o come Georgia O’Keeffe, maestra della dilatazione delle forme sui primi piani.
Assiduo sperimentatore di molteplici tecniche, dalla pittura alla scultura, fino all’installazione, Party inizia la sua carriera negli anni Novanta con la realizzazione di graffiti e murales, un’esperienza, questa, che ancora oggi influenza in maniera determinante il suo lavoro, soprattutto nella modalità di presentazione delle sue opere. È abitudine dell’artista, infatti, modificare gli spazi che ospitano le sue esposizioni attraverso interventi pittorici e variazioni di ordine architettonico che hanno l’obiettivo di stravolgere la percezione del luogo costruendo un’ambientazione ad hoc, unica ed effimera, per lo spettatore.
Questo è ciò che accade anche nella rassegna allestita presso il Museo d’arte della Svizzera italiana, la prima importante mostra monografica dedicata a Party in ambito europeo, dove ad accogliere i pezzi selezionati per documentare i diversi aspetti della propria attività l’artista ha trasformato in maniera radicale la grande sala situata al piano interrato. Per l’occasione Party ha ideato una struttura architettonica a pianta centrale che nell’armoniosa disposizione delle stanze evoca gli edifici del passato e che nelle ampie campiture di colori contrastanti nonché nelle decorazioni di marmi policromi trompe l’œil (eseguiti insieme a Sarah Margnetti) riesce a raggiungere pienamente quell’effetto scenografico di totale coinvolgimento a lui tanto caro.
In questo spazio dalla simmetria rinascimentale vengono presentati una trentina di dipinti a pastello e qualche lavoro scultoreo, tutti realizzati dal 2013 a oggi. Il percorso espositivo procede per tematiche, focalizzando quindi l’attenzione sui soggetti che ricorrono con frequenza nel mondo figurativo dell’artista. Se il ventaglio di colori vivaci, le campiture piatte, la semplificazione formale e l’illusione tridimensionale tradiscono il suo apprendistato da graffitaro, risulta interessante scoprire che la tecnica pressoché esclusiva con cui Party crea le sue opere è il pastello morbido, una scelta che può apparire desueta e controcorrente nel XXI secolo (e qui torna ancora il legame con la tradizione), ma che l’artista porta avanti con decisione per gli alti livelli di intensità e fluidità che può raggiungere grazie al fatto che il pastello è puro pigmento in polvere e proprio questa purezza rende il risultato finale più vibrante e luminoso.
Nella mostra sfilano vedute boschive dall’impronta simbolista, paesaggi in cui viene completamente bandita la presenza umana e dove in taluni casi, come nel dipinto Landscape del 2014, appare più evidente un accento naïf, alla Rousseau. Ci sono i ritratti dal cromatismo acceso, con sguardi immobili quasi ipnotizzanti, e le desolate grotte ora infiammate di luce ora più cupe, a ricordare gli arcani antri leonardeschi. Le vivide composizioni di rocce, poi, hanno grandi massi colorati che paiono tutt’altro che statici, mentre nelle nature morte, dal magnetismo surrealista e dall’impeccabile equilibrio d’insieme, le forme si fanno molli e cedevoli, plasmando la loro sagoma nell’addossarsi l’una all’altra.
All’esterno della struttura che raduna le opere, Party ha realizzato quattro ampi dipinti murali a pastello ispirati ad altrettante tele di Arnold Böcklin raffiguranti cupe vedute di ruderi in bianco e nero, scenari mesti e misteriosi che nel netto contrasto con i colori squillanti degli spazi interni non fanno altro che dare maggiore enfasi ai lavori esposti. Al centro di ogni dipinto murale l’artista ha poi collocato un’opera della serie Creases che ritrae dettagli di corpi tratti da alcuni disegni di Bronzino, uno dei più raffinati pittori del Manierismo: questi nudi monchi e deformati su cui si posano insetti di ogni sorta, definiti con una precisione iperrealista, rimandano, come le rappresentazioni böckliniane, a un’idea di decadenza, di disfacimento, di rovina.
Proprio il concetto di rovina diventa così la chiave di lettura dell’intero progetto luganese di Nicolas Party. Al senso di decadenza e di precarietà (fugace è la natura stessa dei dipinti murali, che verranno distrutti al termine della rassegna), l’artista oppone però la convinzione che il declino porti con sé il seme di una rinascita. Che la transizione, e in questi tempi il messaggio arriva più forte che mai, sia anche e soprattutto un proiettarsi verso un nuovo inizio.