Bibliografia
Charles Simic, Avvicinati e ascolta, Edizioni Tlon, 2021 


Nel vortice crudele della vita

Il caso e la precarietà sono i protagonisti della raccolta poetica "Avvicinati e ascolta" del poeta Charles Simic, nato a Belgrado ma oggi statunitense
/ 31.05.2021
di Guido Monti

«Non ho trovato nessuno/della vecchia combriccola/. Devono essere ancora alla macchia,/…//Il buio arriva presto/a questo punto dell’anno/e rende difficile/riconoscere le facce familiari/tra quelle degli sconosciuti». Così recita una poesia di Charles Simic, uscita nella nuova raccolta pubblicata dall’editore Tlon dal titolo, Avvicinati e ascolta, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan.

Per Simic, ciò che conta sono i santi giorni della vita, nel loro accendersi quotidiano, lì possiamo trovare ben scolpiti i punti cardinali dell’esistenza, è lì che ognuno deve ricercarli e possibilmente interpretarli. I fatti delle ore quindi orientano, illuminano, talvolta confondono, ma sicuramente da essi, come fecero i primi grandi filosofi d’Atene con la migliore filosofia, il poeta deduce il miglior verso.

E la scrittura di questo grande scrittore di origine serba e naturalizzato americano non poteva che avere lo stigma di quella grande cultura dell’est abituata anzitutto, specie nella temperie novecentesca, a misurarsi con la dura realtà; e se è vero che nei primi 10 anni di vita si assimilano il ritmo linguistico e il cuore di una terra, ebbene Simic fece in tempo ad acquisirli, vivendo con la famiglia nei primi anni a Belgrado.

Proprio lì, appena nato nel ’38, fece i conti col fuori, con la doppia violenza del nazismo prima e del socialismo reale in seguito: «Una grande città era ridotta in rovine/mentre tu ti cullavi sull’amaca/chiudendo gli occhi e lasciandoti/cadere di mano giù a terra/il giornale che stavi leggendo,/al che il venticello pomeridiano/si è incuriosito e l’ha fatto volare/di qua e di là sul prato/…/in modo che i gufi ne studino i titoli/…». E il fuori appunto, fu molte cose assieme: visioni di orrori, trasferimenti forzosi e nel 1954 l’arrivo a Chicago significò anche una graduale mutazione identitaria, fisiologica dentro ogni cambio di lingua; ma certamente il grande salto oltre oceano non compromise il cantuccio della sua memoria, che come una brace continuò a sedimentarsi e organizzarsi dietro la lingua nuova.

E nel suo lungo lavoro poetico ma anche saggistico, iniziato alla fine degli anni 60, Simic non ha mai smesso di interrogarsi su uno degli archetipi per eccellenza: la conflittualità. E difatti la ferocia che introiettò nei tempi lontani non fu mai stilizzata in parole oscure, no, ma reinnestata invece in un flusso linguistico talvolta duro ma così chiaro, nelle sue metafore accecanti, piene di cortocircuiti, rimandi, a quel tempo agonico di ognuno, che si mostra anche qui in Avvicinati ed ascolta, come puntellato nella pagina in panneggi via via più tetri, traversati talvolta da chiare striature, che infiammano solo per poco la vita con quella sua dilagante oscurità, che cammina ostinata dentro queste liriche frante, dai metri corti.

Nella pura osservazione, prende dunque corpo questa grande poesia, da Hotel Insonnia al libro ultimo, si immettono in pochi colpi verbali nella pagina le stratigrafie del tempo che è stato e che tornerà, magari sotto forme diverse; fioriscono realtà oniriche, che riportano spesso alle tante guerre che l’uomo non cesserà mai di terminare: «Sei stato testimone/di talmente tanti crimini/in vita tua, amico mio,/che per forza la notte spesso/ti si trova/a testimoniare in un processo/in una nazione/di cui nemmeno parli la lingua./…».

Il teatro della contemporaneità offre spunti per riproporre in chiave metastorica le tante aporie di cui non ci libereremo. Le grandi domande traversano i pensieri degli uomini di strada, ignari passanti portati in scena nel verso, che rappresentano non solo le identità dubbiose dei nostri giorni ma anche al contempo certi fantasmi lontani, che con le loro smorfie, i loro tic, parlano i tanti linguaggi del mondo. Tutte figure perdute però, perché dentro una spirale di violenza variegata, che reitera con ignominia sé stessa, nel grande silenzio di Dio, altro protagonista assoluto di Simic, che certamente non è più in nessun luogo, semmai lo sia stato: «…/uno sale una scala a pioli che ha portato con sé/uno sbircia dentro una Bibbia squinternata/…//Uno apre un grosso ombrello rosso/uno si afferra a una pagliuzza che vola nell’aria/…//Tu lassù ne hai mai salvato uno?/…».

Il notturno abissale che pervade quindi la pagina, anche i suoi bordi, è stemperato forse soltanto dagli attimi dell’amore o da quei luoghi che tengono dentro la fugace giovinezza. Ma certo, questo silenzio di fondo, che percorre il libro e che tanto parla, sembra sibilare proprio come un vento ghiacciato, che tutto trascina via, i vivi e i morti e che talvolta però sembra tornare indietro, girando furioso sulla testa del poeta, che per un attimo ogni cosa rivede e tutto appuntando fa tornare in vita.

Il tempo della precarietà, quindi, affacciatosi sotterraneo nel secolo scorso e fattosi oramai consustanziale alla contemporaneità, percorre tutte le pagine, sempre, assieme all’altra grande variabile che viene da una parola antica e assieme giovane, che è poi all’origine del mito classico: caso; che la società cerca di rimuovere dalla psicologia del profondo ma che il poeta con ironia reimmette in ogni suo verso, perché l’uomo non provi mai a dimenticarlo, dentro le voci fatue, sempre più presenti, nei moltiplicatori digitali: «Schiacci il naso, vecchio,/alla vetrina di un negozio dismesso/come un pesce all’oblò di una nave/che arrugginisce sul fondo del mare,/aspettandoti che un paio di fantasmi//ti seguano sulla strada deserta,/mentre entri di soppiatto in un cinema,/ti siedi tra le rovine,/come un soldato pluridecorato/in un mausoleo per i morti di guerra,//…».

Ecco quindi, caso e precarietà, portati sempre nel baule linguistico dal poeta come un fagotto esperienziale e certo, la continua progressione, sembrerebbe ad libitum, della società statunitense che lo ha accolto, più di 60 anni fa, non ha di molto variato al ribasso il montante azionario di queste due parole chiave, che sono lì a puntellare la vita e la strofa di Charles Simic.