Nel laboratorio alchemico di Steve Gadd

Il batterista americano protagonista di un concerto memorabile al Teatro del Gatto di Ascona, nell’ultima serata della rassegna di Rete Due «Tra jazz e nuove musiche»
/ 15.05.2017
di Alessandro Zanoli

Parlando dei grandi musicisti che hanno segnato la storia del jazz si rischia spesso di cadere nell’iperbole. D’altra parte, occorre ammettere che alcuni di loro possiedono tratti vagamente sovrumani. Prendiamo ad esempio Stephen Kendall Gadd, detto Steve, classe 1945. La sua biografia somiglia, senza alcun dubbio, più a una mitologia che a una normale sequenza di dati cronologici.

A sette anni sale per la prima volta su una batteria. A undici suona con l’orchestra di Dizzy Gillespie. Siamo solo al 1956. Le ulteriori orme del suo passaggio attraverso la storia del jazz, si intersecano con le esperienze con alcuni dei suoi maggiori protagonisti, ma soprattutto lo vedono compiere il duro apprendistato del batterista da Big Band, in cui Gadd apprende il senso stretto della disciplina, l’ascolto attento del contesto musicale in cui è immerso, la precisione e affidabilità della scansione ritmica.  

Negli anni 70, dopo aver bordeggiato diverse formazioni, essersi avventurato senza nessuna preclusione in vari stili musicali, prende una decisione quasi monastica. Decide di dedicare il suo genio alla sala di registrazione. Diventerà il più richiesto batterista da studio d’incisione d’America. In questo modo gli capiterà di finire in migliaia di dischi: basta dare una sommaria occhiata alla sua più semplice discografia wikipediana per scoprire che ha suonato in almeno cinquantaquattro formazioni diverse. A chiunque di noi, scorrendo quella lista, può capitare di scoprire che in qualcuno dei propri album preferiti ha ascoltato, senza saperlo, la batteria di Steve Gadd. 

Un elenco di nomi è sempre stucchevole, ma in questo caso è più che giustificato. Cos’hanno in comune Simon&Garfunkel, Dr. John, Paul McCartney, Kate Bush, James Brown,  George Benson, Grover Washington Jr., Al di Meola, Michel Petrucciani, Milt Jackson, Art  Farmer, Chet Baker, i Manhattan Transfer, Eric Clapton, B.B. King, gli Steely Dan? 

Nulla, verrebbe da dire conoscendo i rispettivi ambiti e personalità musicali. In realtà hanno approfittato tutti delle abilità musicali di Gadd, artista in grado non soltanto di destreggiarsi nei loro repertori, ma di diventare anche fonte di ispirazione e di imprimere alle varie composizioni una fisionomia nuova, sorprendendo gli stessi creatori. La domanda, ora, è: in questa straordinaria, proteica esistenza musicale, dove si trova il «vero» Steve Gadd? Dov’è l’individualità artistica che reca l’impronta del suo genio personale?

Da alcuni anni sembra concretizzarsi perlomeno in un gruppo, la Steve Gadd Band, in cui il batterista ha voluto raccogliere i partner più fedeli e più affini alla sua poetica. La band, non c’è dubbio, possiede una dote rara: la capacità di mantenersi perfettamente in equilibrio sul confine tra generi musicali. Viene da dire che il tratto caratterizzante la SGB è il saper distillare gli elementi essenziali di blues, jazz, rock, country, una sorta di elisir postmoderno in cui tutto si abbina a tutto, tutto si accomoda con tutto. Il risultato quindi non è né jazz, né blues, né country, ma probabilmente musica classica moderna, se con questo si intende una forma colta, matura e meditata di espressione musicale che trascende l’intrattenimento per farsi veicolo di una riflessione estetica ambiziosa.

Steve Gadd come musicista classico? Certo l’idea è un’esagerazione, ma perlomeno sembra rispecchiare una prassi esecutiva che può incuriosire: il repertorio della Steve Gadd Band, da diversi anni, infatti, sembra apparentemente fermo su sé stesso. Tanto che i brani che occupano la sua più recente edizione discografica, Way back Home del 2016 (ma registrato nel 2015) sono esattamente gli stessi che abbiamo potuto ascoltare la scorsa settimana al Teatro del Gatto di Ascona, nell’ultimo concerto della stagione di Rete Due, «Tra Jazz e nuove musiche», sostenuta dal Percento Culturale di Migros Ticino. A distanza di tre anni il gruppo (e Youtube lo conferma) suona e risuona sempre le stesse canzoni.

Gadd ha l’indubbio vantaggio di aver creato un nucleo di solisti (al basso Jimmy Johnson, alla chitarra Michael Landau, alla tromba Walt Fowler e il tastierista Kevin Hays, che ha preso il posto del bravissimo Larry Goldings) stabile e affidabile, a garanzia di una qualità della performance in linea con il senso della precisione e della pulizia sonora proprio al batterista newyorkese. Come bandleader, insomma, Gadd assomiglia molto a un Ellington, tanto che i suoi musicisti sembrano attenti alle sue bacchette come fossero quelle di un direttore d’orchestra. 

Il concerto di Ascona è stato uno splendido esempio di perfezione e leggerezza. La scelta del repertorio di per sé è assai particolare, visto che spazia attraverso rielaborazioni di brani di Keith Jarret (scelta davvero molto rara tra musicisti), attraverso alcune interessanti composizioni originali di Landau (uno dei più raffinati chitarristi moderni americani) e di Goldings, oltre ad altri brani, ben scelti e calibrati. Pure se ormai parte di un canovaccio acquisito e rodato, i cinque sanno proporre l’esecuzione con maestria e divertimento, cosa che suscita immediatamente una calda partecipazione del pubblico.

Steve Gadd si sta divertendo ancora molto a suonare questa musica: è un po’ il passatempo che riempie le pause tra un palco e l’altro, tra una tournée e l’altra con i grandissimi. E noi abbiamo avuto la fortuna di poter gustare il liquore di questo piccolo alambicco musicale che è la sua band.