L’ALTARE

Salgo l’erto sentiero, onde sorvoli

sui poggi d’oro e la montagna fulva

il mio sguardo che anela più lontano:

fin dove, tra un ceruleo mareggiare

di vette sempre più sottili e terse,

si erge color di perla una montagna,

e par che splenda ai limiti del mondo

verso l’immensità, come un altare

 

THE ALTAR

I climb the steep path, to overlook

golden terraces and the fawn mountain

leads my longing gaze further:

until, among a cerulean sea

of mountain peaks becoming thinner and clearer,

there stands a pearly mountain,

that seems to shimmer at the world’s limit

towards the immensity, like an altar.

 

(da Campanule, Valerio Abbondio, 1936)


Nei versi di Valerio Abbondio

L’originale iniziativa di un giovane anglista ticinese, che ha tradotto e illustrato i versi dell’intellettuale ticinese (di cui proporremo un estratto anche nei prossimi numeri)
/ 04.10.2021
di Simona Sala

Da qualche anno i riflettori si erano spenti sulla figura «timida e arrossente» (le parole sono di Francesco Chiesa, dai Colloqui con Piero Bianconi) di Valerio Abbondio, nato nel 1891 ad Ascona e per molto tempo figura di riferimento per l’insegnamento della lingua francese nel nostro Cantone. Ora qualcuno, un discendente dal cognome omonimo, non solo ha dato nuovo afflato a una serie di poesie dell’autore ticinese rileggendole, ma si è cimentato anche nell’opera di tradurle e di illustrarle, rendendone così quasi palpabili le atmosfere e le tematiche.

Abbiamo incontrato Marco Abbondio, giovane anglista e insegnante, che è l’autore di un’operazione letteraria in fieri che intende riportare all’interesse degli amanti del genere l’opera dell’intellettuale asconese.

Prima di tutto, chi è Marco Abbondio?
Sono un docente di inglese con una grande passione per tutto ciò che è British... me la porto dentro da quando ero piccolo. Quando mi sono trovato a decidere cosa studiare, per me è stato scontato scegliere anglistica. 

Come mantiene il suo legame con la Gran Bretagna?
Seguo da vicino tutto quello che capita in Gran Bretagna, poiché sento una grande affinità con la cultura inglese. Gli aspetti che mi affascinano sono molti, dalla cura per la casa alla monarchia, passando per lo sport, la storia e la vita quotidiana, ma sopra ogni cosa vi è il proverbiale humour. 

Nella vita però c’è un’altra passione che la accompagna da sempre, ed è quella per il disegno. Anche questa è una passione che mi porto appresso, soprattutto per le illustrazioni di Escher. All’inizio praticavo il disegno quasi per necessità perché quando studiavo in Inghilterra alloggiavo in una stanzetta piuttosto spoglia, e così ho cominciato a disegnare e ad appendere i miei ritratti alle pareti. All’università di Zurigo, durante le famose lectures del professore Hughes, ogni volta che si cominciava ad analizzare una poesia o un testo, a me venivano come dei flash fatti di immagini. A quel punto ho cominciato a mischiare le due cose, da una parte prendendo appunti, dall’altra disegnando. Una volta allestirono perfino una piccola mostra dei miei disegni all’Englisches Seminar. 

Vuole parlarci del nuovo progetto in cui è impegnato?
In casa mi hanno sempre raccontato di un lontano zio di nome Valerio Abbondio, un insegnante e poeta purtroppo caduto nel dimenticatoio. Un giorno una docente di latino mi mostrò un libro di Abbondio curato da Curonici. All’epoca avevo 16 anni e le poesie non mi dissero molto, ma ora, che ho circa l’età in cui Abbondio le scrisse, le vedo sotto un altro aspetto: sono le poesie di un uomo maturo. Grazie ad alcune ricerche ho scoperto che gli Abbondio erano due: c’era anche il fratello Fiorenzo, scultore, che realizzò l’Helvetia posta sopra il Mövenpick di Chiasso. Credo che i due fratelli fossero molto legati, perché Fiorenzo si occupò a lungo di Valerio quando questi si ammalò gravemente.

Che tipo di poesia è quella di Valerio Abbondio?
È una poesia intimista, egli aveva una vena molto religiosa. Aveva frequentato il Papio ed era stato instradato sulla via del seminario, ma poi aveva capito che non faceva per lui, dunque si era dedicato agli studi universitari in letteratura francese. Abbondio è un figlio del suo tempo, e a me per certi versi ricorda Montale, ma anche Yeats. Nelle sue poesie trovo temi come la verità e la bellezza. Era una persona molto sensibile e riflessiva, attento alla natura e al nostro paesaggio. Dietro a tutta la bellezza decantata, oltre all’aspetto religioso, si intravvede  però anche il tema della morte, forse perché a quarant’anni Abbondio cominciava a pensarci. In inglese c’è un detto secondo cui la morte è il visitatore che non puoi rifiutare, e a me certe atmosfere lo ricordano. 

Come realizza questo ponte tra poesia e disegno?
Il disegno in qualche modo diventa il riassunto di un istante o di un’atmosfera della poesia. Mi piace poi arricchire i disegni con dettagli di mia invenzione. 

È la prima volta che realizza un’operazione di questo tipo?
L’ho già fatta con altri autori come Keats, Shakespeare o con il Paradiso Perduto di Milton, che è una meravigliosa fonte di ispirazione. 

A un certo punto però ha deciso di intervenire anche sui testi, traducendone alcuni in inglese…Trovo che la traduzione sia un esercizio bellissimo per capire e affrontare la poesia. Sono consapevole che in questo senso non c’è una domanda di mercato, ma a me l’idea piaceva. Ho avuto un prezioso aiuto da un professore conosciuto all’università, volevo infatti che il risultato finale in inglese fosse bello tanto quanto quello originale. Per ora ho lavorato su dieci poesie, ma mi piacerebbe sicuramente andare avanti.