Da poco concluso, il 22esimo Festival Internazionale di Narrazione di Arzo ha confermato il successo di una formula che unisce il fascino dei suoi spazi a spettacoli in cui prevale il racconto di storie destinate ai giovanissimi e agli adulti. Fatta eccezione per la prima serata che si è svolta sul palco dell’Oratorio di Balerna per il maltempo, il programma non ha subito variazioni e ha permesso a un nutrito pubblico di seguire la manifestazione fra le vie e le corti del villaggio o sul palco allestito nel giardino del Castello. Con il titolo Che basta un colpo di vento per anche questa edizione ha mostrato un Festival sensibile all’ascolto della contemporaneità. In particolare con le sue proposte serali, mirate e impegnative.
A inaugurare la rassegna è stata Laura Curino, beniamina del Festival e storica rappresentante del teatro di narrazione, che ha riproposto Big Data B&B, uno spettacolo dedicato alla potenza degli algoritmi e giocato su domande che molti si fanno ormai da tempo: dove vanno a finire le informazioni che condividiamo in rete e che uso ne vien fatto? Chi ne approfitta? Un’attualità in un certo senso rimasticata pensiamo agli happening di Beppe Grillo che hanno preceduto la sua entrata nell’agone politico. Laura Curino l’ha fatto suo realizzandone dapprima un libro con il contributo di un pool di docenti del META del Politecnico di Milano che studia il rapporto fra scienza e tecnologia dal profilo etico. In seguito, grazie al Piccolo Teatro, quel lavoro è andato in scena debuttando alla fine dello scorso anno. Il Big Data B&B immaginato dall’artista torinese è una sorta di ostello abitato da informatici esperti in diverse branche dell’intelligenza artificiale. Una comunità che diventa un pretesto per osservare sotto altre angolazioni i molteplici aspetti del problema. Attorno all’ironica e intelligente metafora condominiale del progresso tecnologico, a nostro avviso lo spettacolo mostra un’eccessiva fragilità drammaturgica, un’eccessiva leggerezza che allontana dai nodi sensibili sull’argomento che reggono la scena soprattutto grazie alla bravura della protagonista, peraltro acclamata da una platea entusiasta.
Di ben altro spessore l’atmosfera creata dall’attore umbro Alessandro Sesti con Ionica. La vicenda narrata è quella di Andrea Dominijanni, un testimone di giustizia calabrese contro la ’ndrangheta sottoposto a una scorta di massimo livello. Per poterla raccontare, Sesti ha vissuto con lui per un periodo, ovviamente autorizzato, entrando a contatto con una realtà sconvolgente. Ionica, una storia di coraggio e di verità, dove i cattivi sono cattivi, i buoni sono eroi senza paura e che oltre a mettere in luce una capacità di scrittura notevole di Sesti, a tratti persino umoristica, traccia un percorso narrativo e teatrale forte, con un monologo convincente che sovrasta la drammaticità della situazione con pennellate di straordinaria umanità fino a immergere il pubblico in una confessione finale drammatica e sconvolgente. Un successo ampiamente meritato per un artista che ha saputo miscelare con grande intelligenza e discrezione dramma personale e sostanza teatrale.
La memoria storica è un tema sul quale voler insistere non è mai troppo. Anche a distanza di pochi anni, su certe vicende occorre tornare a riflettere per comprendere la necessità, opporsi criticamente e pacificamente agli abusi di potere, alla violenza di Stato operato con il concorso della politica. Un amaro esempio è quello del G8 organizzato vent’anni fa a Genova che la compagnia Usine Baug ha voluto ricordare sulla scena con Topi (immagine in alto), uno spettacolo cucito fra un racconto farcito di suoni originali e un’allegoria, con un interno infestato da un’invasione di ratti invisibili dove si sta preparando l’arrivo di alcuni ospiti. Una metafora sul G8 non nuova ma efficace, che cede però il passo a molte ingenuità teatrali. All’epoca i protagonisti di Usine Baug erano troppo giovani ma va loro certamente riconosciuto l’impegno nell’evitare che l’oblio avvolga quella buia pagina di storia.