Nel novembre del 2021 The Depot del Museo Boijmans di Rotterdam ha lanciato una sfida a tutti i musei del mondo, aprendo il suo edificio adibito esclusivamente a deposito di opere d’arte e interamente accessibile al pubblico, il primo al mondo nel suo genere. Il progetto del Depot del Boijmans Museum è considerato un vero spartiacque nella museologia perché si è spinto fin quasi a confondere i ruoli tra lo «stage» del museo e il suo «backstage»; anche se il concetto di «visible storage» va detto che era già nato negli anni Settanta in Canada, con il Museo di antropologia dell’Università di British Columbia, seguito a ruota dai grandi musei newyorchesi.
L’idea di aprire al pubblico i depositi o di includere le opere in deposito nei percorsi museali è divenuta una questione urgente per molte istituzioni alle prese con i costi di manutenzione e con problemi di spazio, e oggi, in epoca di crisi energetica e cambiamento climatico, anche con il fattore «sostenibilità ambientale». Se si pensa che, secondo le stime ufficiali, il patrimonio visibile nei musei costituisce soltanto il 10-20 percento del patrimonio custodito – secondo un rapporto che è a volte solo fisiologico (perché molte opere non sono esposte perché «di seconda scelta», di importanza minore o perché troppo fragili), ma in molti casi patologico e sproporzionato – la semplice rotazione di opere non può bastare a far vivere un bene, come le opere d’arte e i reperti archeologici, che deve molto del suo valore al rapporto vivo con il pubblico.
Un pubblico che ormai al museo chiede visioni, sapere e soprattutto nuove esperienze. L’esempio del Boijman Depot (a lato un’immagine dei suoi interni) non è isolato e, a breve, anche il Victoria and Albert Museum di Londra si doterà di un proprio open storage; in Italia il primo a percorrere questa strada è stata la Galleria Borghese di Roma che ha allestito al terzo piano le opere in deposito come una vera e propria quadreria di 260 dipinti disposti su due livelli; una seconda pinacoteca – ordinata per scuole e temi – visitabile che svela al pubblico alcuni «capolavori» nascosti, come una Madonna con bambino di Scipione Pulzone o la Madonna con bambino di Perin del Vaga, copia della celebre Madonna di Casa d’Alba della National Gallery di Washington. Il museo come officina è al centro del progetto «Giorno dopo giorno» lanciato dalla Galleria Estense di Modena, che ha coniugato anche in questo caso esigenze pratiche e obiettivi didattici e di ricerca: per Martina Bagnoli, direttrice del polo museale delle Gallerie Estensi «il museo non è soltanto un palazzo fatto di cose, ma è fatto anche del lavoro che tutte le persone hanno accumulato e compiuto sugli oggetti nel corso di più di cento anni, come nel nostro caso». Il museo, come mediatore tra un oggetto del passato e il nostro presente, è il luogo in cui si costruiscono nessi di senso anche grazie al rapporto quotidiano con il pubblico che con questo progetto ha la possibilità di vedere e parlare con i professionisti che in questi mesi stanno rimuovendo 427 dipinti dalle pareti e sculture dalle vetrine per poterle studiare, schedare o per poter eseguire interventi di pulizia e manutenzione. Al Mudec, il museo delle culture di Milano, un edificio progettato appositamente per ospitare la collezione di oltre 8mila pezzi, «i depositi sono stati concepiti fin da subito come spazi visitabili; una modalità ricorrente per gli ex musei etnografici», come ci conferma la direttrice Marina Pugliese.
I depositi sono ormai da considerarsi un’autentica risorsa, e per questo si preferisce parlare di «riserva» a cui attingere per promuovere attività con il pubblico, prestiti e mostre di museo che valorizzino le opere delle collezioni. Del resto le collezioni sono destinate a crescere – e con esse anche la necessità di ampliare gli spazi espositivi, che dovranno essere sempre più multifunzionali, adibiti a esposizioni, ma anche a deposito e luogo di studio perché tutto comincia da lì, dall’analisi storico-artistica delle opere e degli oggetti, ma anche dalla ricerca sulla provenienza, tema ormai imprescindibile per i musei che hanno nei confronti dei loro pubblici e delle varie comunità una grande responsabilità. Una trasformazione che riguarda anche i musei archeologici; pioniere in questo ambito è stato il parco archeologico di Paestum che dopo il periodo di chiusura forzata per il Covid ha rilanciato il progetto «Oltre il museo» che porta i visitatori a scoprire gli immensi depositi, che contano un milione di reperti, nella loro bellezza «non immacolata, ma verace», laddove avvengono le cose prima della musealizzazione. Non il lato oscuro del museo dunque, ma memoria visiva e tattile, dove comincia il racconto di ciò che siamo stati, e di ciò che siamo oggi.