È un regalo di Pasqua, una di quelle sorprese che gli amanti della musica gustano sicuramente più di qualsiasi uovo, fondente o al latte che sia. E nonostante lo si inizi a scartare il primo aprile non è stato uno scherzo avere a Lugano l’orchestra Mozart e uno dei più grandi direttori dell’ultimo secolo, un mito vivente con i suoi 89 anni compiuti il 4 marzo e portati con una classe e un’intelligenza ancora inconfondibili e probabilmente impareggiabili. Non è stato uno scherzo ma Etienne Reymond, direttore artistico di Lugano Musica, è riuscito a portare al Lac l’orchestra fondata da Claudio Abbado nel 2004 e, divenuta rapidamente una delle migliori formazioni al mondo, scioltasi per tre anni dopo la morte del maestro milanese.
I suoi membri, tutti militanti nelle più prestigiose formazioni d’Europa, sono tornati a riunirsi nel 2016 e avevano chiesto a Bernard Haitink di guidarli; pochissimi concerti, tra cui proprio uno, memorabile, al Lac. Ora Lugano Musica torna ad ospitarli per quattro appuntamenti: il giorno di Pasqua e il mercoledì successivo il confronto tra le sinfonie di Mozart (la Jupiter) e Schubert (La grande e l’Incompiuta), il 2 e il 5 recital cameristici di alcuni orchestrali. Perché l’insegnamento di Abbado è sempre stato quello di concepire l’orchestra come dialogo tra parti e tra pari, la pagina sinfonica sempre e comunque innervata da uno spirito cameristico.
Haitink ha proseguito sulla strada tracciata dal fondatore: «Credo che il compito di un direttore sia quello di comunicare e motivare i musicisti, se vuol dire o fare troppo dà fastidio e finisce per essere un intralcio a chi suona». Sarà forse per questo che il suo gesto, come notano vari critici, è divenuto sempre più rastremato ed essenziale: «Dirigo da 64 anni e ormai ne ho compiuti 89, sono vecchio e non ho più l’energia e la fisicità non dico della giovinezza, ma neanche della maturità. Comunque» e qui il sorriso cede a un’espressione più seria «credo profondamente in quello che le sottolineavo prima: il direttore motiva ma sono i musicisti a suonare, tanto più questi che, nonostante i tanti doveri per le loro attività abituali, si impegnano a trovare il tempo per riunirsi nella Mozart e fare qualche concerto. Il motivo è semplice: adorano suonare assieme e adorano poterlo fare come vogliono loro; per questo quando ne hanno la possibilità, come nei concerti di Lugano e Bologna, vi si dedicano totalmente».
E da quando è mancato Abbado, tutte le volte hanno chiesto ad Haitink di guidarli dal podio: «Non so perché invitino proprio me, ma so perché accetto: suonano benissimo! Per un direttore avere un’orchestra così brava e così motivata è un vero regalo. È lo spirito collettivo di cui le parlavo prima… quando sono tornato da loro l’ho percepito subito. Tutti loro amano far musica assieme e non vogliono perdere questa opportunità: la considerano una parte importante della loro vita, professionale e umana. È sorprendente, soprattutto pensando al panorama odierno, vedere come questa orchestra sia riuscita e riesca sempre a mantenere una sua identità precisa».
Come accennava, i concerti tenuti a Lugano vengono replicati a Bologna: «È la casa spirituale dell’orchestra, è la città dove è nata e quindi penso sia importante mantenere questo legame. Il Lac di Lugano è una sala perfetta per un’orchestra come la Mozart e per questo repertorio: è un lusso meraviglioso poter provare e suonare qui». Il repertorio è congeniale non solo alla sala, ma alle caratteristiche dell’orchestra e ai gusti dello stesso maestro olandese: «Già, queste sinfonie non solo sono nel Dna della formazione, vanno annoverate tra i tesori dell’arte tout court, non solo musicale. Personalmente le adoro. Anche se le ascoltassi tutti i giorni rimarrei ogni volta stupito: il finale della Jupiter, con la sua fuga stupefacente e con la sua energia, mi lascia letteralmente scioccato. Nelle sinfonie di Schubert che abbiamo scelto, l’Incompiuta e la Grande, c’è tutto: intimità, dramma, poesia».
Parlando dello «spirito collettivo» della Mozart, Haitink sottolinea l’importanza di aver mantenuto una identità ben definita e individuabile «nel panorama odierno», con queste due ultime parole scandite con tono grave: «Anni fa le differenze tra le orchestre, parlo ovviamente delle migliori al mondo, erano più marcate. Quando ero giovane mi divertivo, mentre ascoltavo la radio, a indovinare quale orchestra stesse suonando: «questi devono essere i Berliner Philharmoniker, questi archi hanno un suono viennese, mi sa che sono i Wiener…» Oggi è difficile identificarle, per usare un termine improprio ma efficace potremmo dire che le orchestre sono più «unisex»: sono decisamente più internazionali, il che non è un difetto in assoluto, e hanno un tasso di virtuosismo maggiore – oggi il livello tecnico medio è altissimo – ma hanno perso parte della loro personalità».
Anno dopo anno, decennio dopo decennio Haitink ha visto cambiare le orchestre; se invece gli si chiede come e quanto sia cambiato il pubblico, ammette di non avere una risposta: «Sinceramente non so che cosa dirle. Sento tante lamentele sul fatto che pochi giovani vanno ai concerti, ma le sentivo già cinquant’anni fa…E ci sono delle eccezioni significative, che potrebbe indicare una strada: dove i biglietti hanno prezzi più abbordabili, come a Berlino ad esempio, vedo platee piene di giovani».
Volgendosi al passato, Haitink riconosce di «aver avuto opportunità incredibili: sono cresciuto in un’epoca di giganti, ho imparato da Mengelberg, Walter, Klemperer, Furtwangler, Erich e Carlos Kleiber, ho avuto solisti come Oistrakh e Rubinstein; per 64 anni ho suonato con i migliori musicisti che si potessero avere e l’interazione con loro ha riempito la mia vita; non avrei mai sopportato la carriera da solista». Guardando al futuro «sto preparando un periodo sabbatico a tempo indeterminato, la mia età non è certo un segreto. Ma non è questo il momento!».