Morrison, nuova freschezza

I vantaggi della maturità: James Morrison, una delle poche voci del moderno «white soul», rielabora (con gusto) il proprio repertorio
/ 14.02.2022
di Benedicta Froelich

Dal punto di vista dell’attuale musica popolare, si potrebbe dire che il nuovo millennio abbia aperto le porte a una serie di giovani e prestanti, più o meno fortunati cantautori pop angloamericani, che in molti casi hanno catturato l’interesse di un pubblico perlopiù giovanile. Da anni ormai, il 37enne britannico James Morrison ne rappresenta un esempio sufficientemente accattivante da essersi conquistato più di una scalata alle classifiche internazionali, e numerosissimi passaggi radiofonici; e il fatto che, rispetto ad altri colleghi, sia forse stato meno preponderante nell’immaginario collettivo è dovuto soprattutto alla sua particolare cifra stilistica – da sempre caratterizzata da un uso peculiare del timbro vocale, profondamente intriso di sfumature soul e collocabile nella migliore tradizione bianca del genere.

In realtà, il nuovissimo Greatest Hits appena dato alle stampe da James non rappresenta la classica retrospettiva a cui siamo abituati da decenni di tradizione commerciale: le 13 tracce del CD costituiscono infatti arguti tentativi, da parte di Morrison, di rivisitare i pezzi più celebri del suo catalogo in versioni perlopiù scarne e minimaliste, qui definite come refreshed.

E di fatto, la volontà dietro quest’album era proprio quella di offrire a James la possibilità di tornare su tali brani a distanza di anni, così da poter, in un certo senso, «aggiornarli»: un’occasione di riflessione, e un’opportunità per mettere alla prova la propria evoluzione come artista. Non è quindi un caso che uno dei pezzi chiave della tracklist sia un’ottima versione acustica di You Give Me Something, brano che, come singolo apripista dell’album d’esordio Undiscovered, portò Morrison alla ribalta nel 2006; e non manca nemmeno una versione davvero intensa del tormentone Broken Strings, originariamente cantato in coppia con l’eterea Nelly Furtado e qui reso ancor più suggestivo ed efficace grazie al minimalismo acustico di una rilettura ben riuscita. 

Certo, non tutte le rivisitazioni hanno la stessa efficacia; ad esempio, la versione «semplificata» di un brano come You Make It Real si presenta qui in una chiave un po’ troppo monocorde, che poco si confà a Morrison – il quale del resto, per quanto talentuoso, non può ancora vantare un’assoluta maestria interpretativa nel campo soul. Tuttavia, ciò che maggiormente salta agli occhi nell’ascolto di Greatest Hits è il fatto che, in queste rivisitazioni, James sia riuscito a evitare i problemi che lo affliggevano durante le esibizioni dal vivo: infatti, sebbene dotato di una voce quantomeno interessante, a volte Morrison si ritrova a cedere alla tentazione di impiegare finti virtuosismi dalle tonalità lamentose, in una sorta di caricatura dello stile che un cantante confidenziale dei bei tempi andati avrebbe potuto impiegare in un nightclub d’alto bordo.

E non sempre la miscela funziona, in quanto il risultato può finire per risultare lezioso, più simile all’eccesso d’autoindulgenza di un principiante che al consapevole giudizio tipico di un interprete maturo – al punto che, in taluni concerti del passato, i gorgheggi di James apparivano, infine, quasi fastidiosi, portandolo a suonare come lo sbiadito equivalente di un poco grintoso Rod Stewart. Fortunatamente, proprio come il termine stesso sembra implicare, queste versioni «refreshed» risaltano invece per essere perlopiù fresche e disinvolte, e, allo stesso tempo, estremamente mature: si vedano pezzi ritmati come I Won’t Let You Go, la cui nuova versione acquisisce sonorità deliziosamente blues, permettendo ai tentativi virtuosistici di James di trovare uno sbocco funzionale – come accade, del resto, anche con le ballate più intimiste: un esempio su tutti, la struggente Too Late For Lullabies.

Naturalmente, come con ogni raccolta che si rispetti, anche questo CD offre poi due brani inediti a fare da bonus per i fan: il primo, Who’s Gonna Love Me Now, costituisce un’ottima conferma dell’efficacia del songwriting di Morrison, tuttora in grado di produrre brani mirabilmente a cavallo tra sfumature rhythm’n’blues vagamente anni 60 e travolgenti sonorità radiofoniche odierne. Anche Don’t Mess With Love, per quanto forse meno originale in termini compositivi, resta un esempio gradevole e ballabile del talento di James, qui alle prese con accenti in puro stile Motown.

Tutte conferme che portano, infine, all’inevitabile conclusione che questa raccolta ci regala – ovvero, che se per certi versi James Morrison non ha forse ancora raggiunto la piena espressione delle proprie potenzialità, quanto gli manca è soltanto un po’ di quello che un tempo si era soliti definire, in termini stilistici, come «nerbo». E poiché stiamo parlando di un artista ancora giovane, nonché dotato di innegabile potenziale, vi sono pochi dubbi sul fatto che il futuro sia destinato a confermarlo come performer di talento.