Bibliografia

Romana Petri, Rubare la notte, Mondadori, Milano, 2023.

L'autrice Romana Petri.

Morire non è nulla, solo musica tra le stelle

Intervista – Romana Petri racconta di come il suo grande amore letterario sia diventato un romanzo candidato allo Strega
/ 01.05.2023
di Laura Marzi

Abbiamo incontrato Romana Petri, candidata al Premio Strega con il romanzo Rubare la notte edito da Mondadori, tra i testi più amati nella dozzina selezionata il 30 marzo scorso dal comitato direttivo del riconoscimento letterario più importante in Italia. Autrice nel 2020 di Figlio del Lupo una biografia romanzata su Jack London, Petri torna sul genere con un romanzo dedicato allo scrittore e aviatore francese, autore de Il piccolo principe.

Perché ha deciso di scrivere un libro su Antoine de Saint-Exupéry?
È successo un po’ come è accaduto per Jack London: i grandi amori del passato a un certo punto riaffiorano e Saint-Exupéry fa parte di questi. Un paio di anni fa ho deciso di rileggere l’intera sua opera e quando mi sono resa conto che leggevo e subito dimenticavo i suoi testi ho capito che era giunto il momento di scrivere un romanzo su di lui: ero pronta.

Qual è il margine di invenzione che si è concessa nella creazione di personaggi realmente esistiti?
Ho seguito le leggi della letteratura che deve essere prima di ogni altra cosa finzione. Ho sussunto la sua opera fino a sentirla mia, poi ho letto un paio di biografie, ma solo per fissare eventi e date. Tutte le lettere che scrive alla madre, tutti i suoi dialoghi, i suoi pensieri, sono inventati da me. Li ho creati cercando di pensare come pensava lui e a un certo punto mi è risultato facile usare la testa di Tonio.

Il rapporto tra Antoine de Saint-Exupéry e sua madre è stato fortissimo e le lettere fra di loro costituiscono una sorta di ossatura del suo libro. Lei hai scritto di questo tema anche in Mostruosa maternità (Perrone, 2022). Che cosa la spinge a indagare il materno?
Le lunghe lettere alla madre sono il filo rosso del romanzo. Volevo che attraverso queste confessioni il mio personaggio mettesse a nudo la sua anima come in un confessionale, come davanti a uno psicoterapeuta o semplicemente a sé stesso. Il rapporto con le madri ha sempre qualcosa di pericoloso: siamo stati chiusi nel loro scrigno per nove mesi. Credo sia un’esperienza indimenticabile anche se siamo certi di non ricordarne nulla. Per Tonio (Antoine) è stato impossibile liberarsi da questa ossessione. Venerava la madre, avrebbe voluto rallegrarla dopo la morte del marito e dopo quella del figlio più piccolo, in fondo dietro a questi dolori della madre c’era la sua rabbia: lui desiderava, un po’ mostruosamente, essere la sua vera fonte di luce e gioia nella vita. Ha vissuto i lutti che hanno investito la sua famiglia anche come una privazione personale, non per cattiveria, ma perché era avido dell’amore materno. E l’avidità è sempre un po’ mostruosa.

Saint-Exupéry è spesso definito un eterno bambino. Il suo interesse per il materno è di rimando anche un interesse per l’infanzia? Ne ha una nostalgia simile a quella che attanaglia il suo protagonista?
No, io rifuggo l’infanzia, perché so che ogni male, ogni stortura è cominciata lì. Non l’ho mai considerata un paradiso perduto, bensì il mondo delle ombre e delle paure. Tonio non solo la rimpiangeva da adulto, ma già da bambino: sentiva che ogni giorno che passava era un giorno in meno di infanzia che gli veniva concesso. Lui è andato ben oltre la nostalgia.

L’autore oggi è indissolubilmente legato a Il piccolo Principe, ma in vita i suoi testi erano molto letti e lui era conosciuto anche oltre oceano. L’impressione, però, leggendo la sua storia, è che fosse uno scrittore di successo suo malgrado. È così?
Era goffo, molto timido e riservato, il successo lo spaventava. Non dico che non gli piacesse, ma lo metteva un po’ in imbarazzo. Poi aveva le sue vanità letterarie, certo, ossessionava tutti: parenti, amici, moglie, amanti, affinché leggessero i suoi manoscritti, ma lui era nato principalmente per volare, per starsene seduto in mezzo al cielo. Spesso ha dichiarato che se non avesse volato non avrebbe nemmeno mai scritto. In effetti i suoi libri parlano principalmente di volo, dell’ossessione di staccare l’ombra da terra, di fuggire dalle paure immaginarie per entrare in un mondo di pericoli veri.

Dal suo libro si evince che Il piccolo principe è il risultato di anni di visioni, la sintesi di incontri reali e immaginari, di idee coltivate nel tempo. Ci parla della genesi di questo testo caposaldo del nostro immaginario?
Lui lo definì la quintessenza dei suoi dolori. Lo aveva in mente da molti anni prima che lo scrivesse. Spesso disegnava quel petit bon homme un po’ ovunque, anche sulle tovaglie di carta delle trattorie e molto mentre volava. È un po’ il suo testamento, visto l’ultimo tragico volo in cui morì poco tempo dopo la pubblicazione di quel libro, ma forse è anche il suo definitivo distacco dall’infanzia. È come se Saint-Exupéry, scrivendo quel finale tragico, si fosse liberato del Tonio bambino che tanto aveva fatto per non crescere.

Era un seduttore indefesso, ossessionato dalla verità che si trova «nelle pieghe delle gonne», espressione che torna spesso nel suo romanzo. Qual era il suo rapporto con le donne?
Per molti anni si è ritenuto un uomo che non aveva ascendente sulle donne. Dopo la grande delusione per il suo amore giovanile con Loulou, si era convinto di non essere un uomo amabile. Poi, con il successo letterario e il fascino dell’aviatore, arrivano anche le conquiste facili. Ma lui non era un seduttore, anzi, si lasciava sedurre. Era comunque un insicuro e un uomo che seppur non indifferente alla passione, era anche capace di relazioni quasi platoniche, fatte soprattutto di languore, di una diversa, a volte più intensa intimità. In ogni caso, il suo vero grande amore rimase sempre il volo. Solo lassù, lontano dalla terra, trovava la sua vera dimensione. Sperava ogni volta anche di atterrare ma solo per poi decollare di nuovo il prima possibile.

La sua posizione durante l’occupazione tedesca della Francia è stata problematica, Saint-Exupéry era accusato di essere un collaborazionista. Può spiegarci perché?
Non lo era, anzi, era un antifascista convinto. Solo che quando doveva giudicare un individuo lo faceva senza mai pensare a quale colore appartenesse. De Gaulle, per esempio, era per lui troppo facinoroso e lo detestava. Quando ha voluto mettersi in contatto con gli americani per chiedere aiuto in favore della Francia occupata dai nazisti, pur di ottenerlo, avrebbe cercato di sedurre anche il diavolo. Ha dato la sua vita per i suoi compatrioti francesi, odiava le dittature e considerava la guerra una malattia, ma era un uomo libero. Ha sempre rifiutato le etichette.

Antoine era ossessionato da ciò che aveva visto durante la guerra civile spagnola. Può raccontare che tipo di sentimento albergava in lui, che voleva essere un patriota, ma era anche un convinto pacifista?
Per lui la guerra aveva senso solo come reazione all’occupazione da parte di un’altra nazione. La guerra fratricida in Spagna lo aveva segnato in modo indelebile, lo aveva quasi fatto impazzire. Si era dovuto rendere conto che chi era dalla parte del giusto commetteva le stesse atrocità di chi combatteva dalla parte sbagliata. Per uno come lui, fautore di un nuovo umanesimo, quello che gli stava di fronte era un mondo che si stava perdendo, senza possibilità di soluzione. Mi chiedo cosa direbbe oggi dell’occupazione russa in Ucraina, forse che la pace ha qualcosa di strano, perché a un certo punto stanca e che gli esseri umani sono senza memoria.

Nel romanzo risulta particolarmente interessante, tra i tanti tratti del carattere del suo protagonista che è riuscita a rappresentare, il suo rapporto col passato che diventa presto un’ossessione per la morte. Può parlarcene?
Secondo lui l’angoscia che blocca gli umani è la paura della morte: solo quando si arriva ad accettarla si nasce veramente. Per lui, in questo senso, è stata fondamentale la morte del fratello, un ragazzino di quindici anni che prima di andarsene gli disse che morire non è nulla: solo musica tra le stelle. Mi immagino quante volte si sia ripetuto questa frase. Poi ci si confronta in guerra, vedendo morire tutti i suoi compagni. Alla fine, ha considerato la morte una liberazione, proprio come accade al suo piccolo principe.