Il cordoglio planetario che ha circondato la morte di Montserrat Caballé è stato degno di una testa coronata e merita qualche riflessione non frettolosa. Perché il grande soprano catalano apparteneva alla Casa Reale del Canto di ogni tempo. Lo riconobbero altre divinità dell’Olimpo canoro come Renata Tebaldi, Joan Sutherland e Maria Callas, ammiratrici della voce unica della Caballé. Donna Montserrat ha fatto anche il miracolo nei tormentati frangenti politici del suo paese di mettere tutti d’accordo: il Re e il primo ministro Sanchez, indipendentisti e lealisti catalani, popolari, centristi e socialisti.
Sulla stampa però è stata ricordata soprattutto la sua partecipazione alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi a Barcellona. Montserrat fece un numero di alta pirotecnia vocale accanto a quella forza della natura che era Freddy Mercury. L’insistenza con cui è stato narrato questo evento poteva indurre a pensare che quella fosse stata la sommità della sua carriera e non un episodio, importante sì, ma non certo unico. Episodio che dimostra la straordinaria versatilità dell’artista e la generosità della persona.
Mercury, durante le prove, le disse di essere sieropositivo e malato, scusandosi per un eventuale possibile défaillance vocale. Montserrat lo ringraziò per averla messa a parte di una cosa così personale, considerandola così un’amica. E un’amica fu per tutti i compagni sul palcoscenico, a partire dalla non facile categoria dei tenori: parliamo di artisti di grande personalità come Alfredo Kraus, Placido Domingo, Luciano Pavarotti, e il concittadino, José Carreras, scoperto proprio dal clan Caballé e rimasto amico di tutta una vita.
Nel gruppo familiare che gravitava intorno al soprano ebbe una parte decisiva il fratello Carlos, che consigliò sempre le opere giuste per non compromettere mai la maturazione vocale. Questo è uno dei segreti di una carriera durata più di mezzo secolo – iniziata in Svizzera, a Basilea, nel 1956 con la Bohème di Puccini. Due anni nella compagnia stabile di Basilea e poi il triennio (1959-62) a Brema consentirono a Montserrat di approfondire il repertorio tedesco (fu capace di trionfare in quattro lingue, spagnolo, italiano e francese comprese). Fu pronta per tornare a Barcellona e debuttare in Arabella di Richard Strauss, il compositore a cui l’aveva preparata la sua maestra, Conchita Badia, grande liederista catalana.
Quando Montserrat girava i suoni e «filava» smorzando in pianissimo un acuto, dava l’impressione fonica di una stella cometa (per non parlare del colore sempre caldo e morbido della voce). Queste qualità naturali furono affinate da uno studio tecnico formidabile, appreso proprio negli anni dell’educazione musicale al Conservatorio di Barcellona.
Ricordo una celebre regista di tanti decenni fa, che pur ammirandola, ne faceva un’imitazione leggermente ironica. Montserrat studiava uno dei tanti impervi spartiti belcantistici che riesumò dall’oblio in cucina. Nel contempo girava la salsa di pomodoro, prendendo in braccio il figlio. Era l’immagine nello stesso tempo di una matriarca semplice e di una straordinaria professionista, cui è stato possibile interpretare i ruoli più diversi, ruoli per i quali normalmente ci sarebbero volute interpreti diverse: il belcanto italiano (Rossini, Bellini, Donizetti) e Verdi, la Salome di Strauss e Puccini. Un fenomeno.