Luigi Cavallo, Giovanni Molteni. Acquarelli. Tesserete, Pagine d’Arte, 2018.


Giovanni Molteni, Bellinzona, Quaderni di Villa dei Cedri, 1998.


Molteni, con l’Artide nel cuore

Dal Polo al Ticino: Giovanni Molteni, il «Pittore dell’Artide», e la scoperta di un parallelo «mistico» tra i ghiacci eterni e le valli ticinesi
/ 06.07.2020
di Benedicta Froelich

Nonostante quasi cinquemila chilometri separino la banchisa artica dalle valli ticinesi, vi è un legame a prima vista inaspettato tra gli eroici tentativi di esplorazione polare degli anni 20 e il territorio a sud del Gottardo – un legame che si concretizza nella persona dell’artista Giovanni (Battista) Molteni, classe 1898, originario di Cantù, che trascorse parte della sua vita proprio in Canton Ticino, immerso nell’amatissima natura da lui ritratta in molti suggestivi oli e acquarelli.

Figlio di un commerciante di vini, Molteni – il quale, appena pochi mesi fa, è stato oggetto di una retrospettiva a Milano – aveva studiato da autodidatta, completando la propria formazione presso la bottega del concittadino Ugo Bernasconi; ma fu solo quando si trasferì nel capoluogo lombardo, nei primi anni 20, che poté dedicarsi a fondo allo studio dell’anatomia e delle tecniche murali. Eppure, qualcosa in lui si tendeva verso altre, più ardite imprese: Molteni affiancava infatti all’estro crea-tivo del pittore la tipica inquietudine dell’alpinista «di razza», in cui la passione per la montagna e per l’esperienza estrema della scalata diviene espressione massima dell’anelito alla vita e alla libertà, e perfino a una certa forma di profondo misticismo laico ed esistenzialista.

Lo stesso, senza dubbio, che lo spinse dapprima a esplorare la Norvegia (dove realizzò numerosi paesaggi), e poi addirittura a prendere la decisione quantomeno audace di unirsi alla spedizione polare del Principe Ruspoli (1926) – e, infine, a quella, ben più celebre, del dirigibile Italia, organizzata due anni dopo dal Generale Umberto Nobile. Del resto, non è un caso che uno dei primi quadri di nota esposti da Molteni sia stato proprio Il pilone del Norge, tributo alla precedente spedizione polare su dirigibile guidata dallo stesso Nobile e dal norvegese Amundsen nel ’26.

Ma l’impresa del 1928 costituì un vero spartiacque per Giovanni, il quale ebbe la fortuna di non trovarsi a bordo dell’aeronave quando un grave incidente causò il distacco del pallone dalla navicella sottostante – condannando a morte sicura i membri dell’equipaggio che in quel momento sostavano nell’involucro, e permettendo soltanto al Generale e ad altri otto compagni di atterrare vivi sul pack; dove, dopo oltre un mese trascorso nella celebre «Tenda Rossa», sarebbero stati tratti in salvo a seguito di lunghe e perigliose ricerche. Ricerche alle quali avrebbe preso parte lo stesso Molteni, unendosi al Capitano Sora nella lunga marcia di soccorso, e fermandosi più di una volta lungo la strada per catturare alcuni scorci artici in bozzetti di frugale bellezza, realizzati a circa trentanove gradi sottozero. Così, al ritorno in Italia, Giovanni produsse ben tredici grandi dipinti di tema polare (poi esposti a Milano), in cui l’incredibile visione dell’assoluta immobilità del mare all’80esimo parallelo, riviveva in immagini che affiancavano a un assoluto rigore formale una visione quasi metafisica del paesaggio naturale.

Non solo: l’esperienza polare appariva aver profondamente influenzato non soltanto il suo immaginario di artista, ma anche la sua psiche, al punto da riflettersi in ognuno degli acquarelli realizzati negli anni successivi. In queste vedute minimaliste, spesso caratterizzate da colori freddi, a tratti algidi, è infatti possibile individuare una vera ricerca di sé nella solennità e innata sacralità della natura e degli spazi incontaminati; non a caso, particolarmente suggestivi risultano i quadri in cui è il paesaggio invernale, con le sue tinte cristalline e le linee sfumate che danno vita a sagome quasi diafane, a farla da padrone.

Simili influenze continueranno a pervadere il lavoro di Molteni anche dopo il ritorno dal Polo, dal momento che la costante tensione verso l’immenso e la vastità degli spazi caratterizzerà la sua intera opera: e, nel dopoguerra, tale ricerca artistica condurrà questo personaggio quasi romanzesco – dal fisico imponente e statuario e la presenza distinta e vagamente istrionica di un consumato attore di teatro – a un profondo legame con il nostro territorio, nato dall’unione con l’amatissima moglie Giovanna von May e inaugurato dalla sua prima personale in Ticino (1954). Pochi anni dopo, Molteni si trasferirà a Massagno, per poi approdare in seguito a Gentilino e Sorengo, a pochi passi dal lago di Muzzano, dove risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1990.

In effetti, a parte una pausa in Normandia (’64-’66), il pittore rimarrà fedele al Ticino per il resto della sua vita – traendo grande ispirazione dalla natura «primordiale», come lui stesso la definiva, della Valle Maggia, e rimanendo a dir poco incantato dai colori offerti dai tramonti sull’amato laghetto di Muzzano, che descriveva come «una vera eccezione». Anche per questo, non deve stupire che, col passare degli anni, Molteni abbia scelto di ritirarsi in luoghi dalla natura solo apparentemente disgiunta dagli squadrati biancori alpini a cui aveva dedicato la giovinezza; perché proprio lo spirito «selvaggio» delle verdi valli ticinesi era stato in grado di rappresentare, per lui, un suggestivo parallelo tra le suggestioni dei suoi anni di avventure e la riflessiva calma della maturità.

Oggi, il territorio ticinese ospita ancora ampie tracce del lavoro dell’artista: diverse sue opere sono infatti esposte presso il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, dove ha sede anche la Fondazione Archivio Opera Artistica Giovanni Molteni. E basta un’occhiata al suo variegato lascito per rendersi conto di come l’opera del «pittore dell’Artide» appaia a tutt’oggi di uno spessore e una modernità impressionanti, in grado di creare subito un sottile legame emotivo con chiunque ne ammiri un esempio; forse perché, in fondo, i profondi e insondabili abissi dell’anima di un vero artista non sono poi troppo dissimili dalle gelide e inesplorate distese artiche e dai crepacci di ghiaccio che lo stesso Molteni aveva avuto modo di esplorare durante la sua grande, indimenticata avventura giovanile.