Propizio è avere ove recarsi, recita il titolo. Propizio sarebbe anche prestare orecchio, quando si traduce, non solo alla corrispondenza tra parole ma anche ai registri linguistici. L’originale Il est avantageux d’avoir où aller suona infatti un tantino più dimesso della traduzione. O forse è la lingua dell’oracolo cinese – Emmanuel Carrère ha detto e ridetto di aver sciolto le indecisioni consultando I Ching – a cozzare con la lingua dell’Adelphi, e la bella copertina azzurro polvere (più la foto dello scrittore che tanti anni fa cominciò scrivendo un racconto intitolato Baffi – un uomo si taglia i baffi e nessuno se ne accorge).
Il francese suona un tantino più dimesso, e molto più invitante. Per noi, perlomeno, che tolleriamo l’oracolo cinese solo se lo scrittore di Limonov e L’avversario fa da tramite. Noi che ancora non ci siamo riavuti dagli onori tributati a Robert Pirsig, e al suo Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta: best seller anni 70, libro di culto per più di una generazione, nulla che somigli alla filosofia o alla letteratura (sostengono inoltre i nostri orientalisti di riferimento che le storie zen sono cattive e quasi sempre vince il male, lontanissimi dalle storielle che in occidente vengono spacciate per tali).
Non che avessimo bisogno di inviti pressanti, per leggere un libro con il nome di Emmanuel Carrère sulla copertina. Lo leggiamo anche se l’altro nome è Calais, e si tratta di un reportage sul campo dei rifugiati più grande d’Europa. Per crisi di astinenza, abbiamo cominciato a soffrirne dopo Il Regno (sempre Adelphi, 2015). Per sfortuna nostra avevamo già letto in tempi remoti la biografia di Philip K. Dick, Io sono vivo e voi siete morti. Ne aveva mandato una copia in carcere a Jean-Claude Romand, l’uomo che massacrò la famiglia pur di non confessare che non si era mai laureato e non lavorava da decenni al CERN di Ginevra. Quando Carrère capì che il titolo era una clamorosa gaffe il pacchetto era già nella buca delle lettere. Così comincia L’avversario, che appunto racconta la vicenda.
I processi e gli omicidi attraggono Emmanuel Carrère come i suoi colleghi Emile Zola e Charles Dickens, che addirittura lavorava come cronista giudiziario (un bellissimo resoconto delle fascinose relazioni tra giustizia e letteratura si trova in La borsa di Miss Flite di Bruno Cavallone, professore di diritto processuale civile e in gioventù traduttore dei Peanuts e di Pogo per la rivista Linus). Con tre casi di cronaca nera inizia il libro, che raccoglie testi sparsi e d’occasione. La prefazione scritta per lo straordinario romanzo dell’ungherese Ferenc Karinthy Epepe – un linguista diretto a Helsinki sbaglia aereo e sbarca in una metropoli dove parlano una lingua indecifrabile, e non ne capiscono nessun’altra, quando la fantascienza fa davvero paura. O un brevissimo testo intitolato Idiota! Warren è morto! dove si racconta come nasce la vocazione di uno scrittore.
Lo folgorò, a dodici anni, un racconto di Lovecraft trovato nella biblioteca dei suoi genitori (la mamma di Emmanuel Carrère è la slavista Francese Helen Carrère d’Encausse, il libro lo aveva regalato uno zio dimenticando che la signora preferiva i classici russi e la storiografia). Era intitolato La dichiarazione di Randolph Carter, il narratore rievocava i suoi rapporti con un misterioso Warren dedito alle scienze occulte. Frase finale: «Idiota! Warren è morto!».
Carrère ricorda come era impaginata nel libro, in corsivo. Ricorda che la sognò di notte, immaginando che faceva parte di una storia talmente spaventosa da uccidere il lettore che avesse avuto l’ardire di leggerla fino in fondo. «Per molto tempo per me scrivere è stato avvicinarmi alla frase che uccide» – confessa Emmanuel Carrère – «e nello stesso tempo rallentare lo scivolone che mi portava giù. Sì, se c’è un mantra che ha determinato la mia vocazione è questa frase assurda: “Idiota! Warren è morto!”».
Frase da mettere vicino alla fabbrica di lucido da scarpe dove il piccolo Charles Dickens fu mandato dal padre a lavorare, o alla manata sul didietro che spinse Edward Morgan Foster a scrivere Maurice. La vocazione non si sa mai da dove può arrivare. Né quanto lontano può andare. Vi abbiamo raccontato poche decine di pagine su un libro che ne conta 400 (e tra le altre cose contiene articoli scritti da Carrère per una rivista femminile italiana, lo cacciarono perché tendeva al porno). Immaginate i piaceri che attendono il lettore che leggerà la raccolta da cima a fondo.