In questo periodo di Nick Cave sono usciti anche l'album L.I.T.A.N.I.E.S., in collaborazione con Nicholas Lens, e il libro Stranger Than Kindness (Il Saggiatore, 2020)


Minimal Cave

Dalla pandemia un miracolo inatteso: la straziante intensità della minimalista esibizione «in solitaria» di Nick Cave come riflessione sul dolore
/ 11.01.2021
di Benedicta Froelich

Come si sa, l’emergenza causata dal rapido propagarsi del Covid-19 e il conseguente lockdown primaverile hanno purtroppo colpito con particolare violenza il mondo dello spettacolo, tanto che nemmeno la musica rock di alto profilo ne è uscita indenne. Per molti artisti questa sorta di «clausura forzata» ha funto da spinta nella ricerca di una nuova concezione della musica dal vivo. Nell’ambito della scena angloamericana ciò ha condotto alla nascita di alcune gemme inattese, la più luminosa delle quali viene nientemeno che dall’australiano Nick Cave: un artista che, ben prima della pandemia, si era già trovato a dover sublimare un inferno personale (la morte del figlio quindicenne Arthur) attraverso un capolavoro assoluto come l’album Ghosteen, pubblicato nell’ottobre 2019. Oggi Cave ripete il miracolo, sopperendo all’annullamento delle tournée del 2020 tramite un esperimento unico quanto struggente e facendo così di un limite un insospettabile punto di forza.

La scorsa estate Nick si è infatti presentato al pubblico dal vittoriano e squisitamente old-fashioned Alexandra Palace di Londra per un’esibizione in solitaria, filmata un mese prima da Robbie Ryan (in un solo take!) e trasmessa in streaming su YouTube il 23 luglio. Un concerto senza musicisti né pubblico, sullo sfondo di un teatro spettralmente deserto, in cui l’unico elemento a spezzare la silenziosa vastità della sala vuota era lo stesso Cave, vestito nel solito completo nero d’ordinanza e seduto al pianoforte a coda al centro dello spazio. 

Un setting quasi crepuscolare che ha conferito all’intero concerto l’atmosfera di una funzione sacra: un vero e proprio rituale che, originariamente riservato ai fedelissimi presenti online, è poi divenuto un film (uscito nei cinema lo scorso novembre) e, ora, anche un album dal vivo, entrambi dal titolo Idiot Prayer: Nick Cave Alone At Alexandra Palace.

E sebbene il CD non permetta di apprezzare l’importante componente visiva della performance – ovvero l’elegante maestosità dell’Alexandra Palace, ammantato da un silenzio quasi surreale, spezzato soltanto dalla presenza solenne e quasi immobile di Cave e del suo piano – resta il fatto che, più ancora del setting minimalista e dell’ambientazione, a lasciare davvero sconcertati e mesmerizzati è soprattutto la struggente intensità dell’interpretazione: un’intensità che va ben oltre quanto ci si potrebbe aspettare da un concerto per sola voce e pianoforte.

Non si tratta soltanto del fatto che la mancanza di accompagnamento musicale e la totale assenza di pubblico donano all’esibizione un’innegabile solennità; Cave regala infatti una performance assolutamente minimalista, scevra da qualsiasi orpello o lungaggine (nemmeno una parola a riempire le pause tra un brano e l’altro), in cui il trasporto e concentrazione evidenti nella presenza e nel contegno stessi dell’artista portano ogni brano a picchi d’intensità quasi paradossali. L’atmosfera fortemente sacrale che ne nasce pervade e ammanta così l’intera serata, spingendo lo spettatore a trattenere il respiro mentre Nick inanella una meraviglia dietro l’altra: brani come Far From Me, Nobody’s Baby Now, Jubilee Street e Higgs Boson Blues acquistano un’urgenza e una tensione ben superiori rispetto alle registrazioni originali, mentre la storica ballata (Are You) The One That I’ve Been Looking For offre uno dei rari momenti in cui l’artista «abbassa la guardia», abbandonandosi a una risata liberatoria dopo aver sbagliato la nota di chiusura.

Diviene così evidente all’ascoltatore come, paradossalmente, la tragedia personale vissuta da Cave l’abbia portato a trascendere il dolore attraverso una rinnovata, ancor più forte spinta creativa, stavolta spogliata di qualsiasi orpello o artificio artistico. La voce stessa del rocker, a partire dal timbro e dall’intonazione, suona infatti differente, pervasa da una struggente consapevolezza e un dolore lancinante, talmente intensi da non apparire neppure di questo mondo. 

L’ascolto ne risulta così a tratti straziante, come nel caso di pezzi dagli accenti mistici (si vedano lo splendido Brompton Oratory e la title track) o della traccia conclusiva, Galleon Ship: un’allegoria del trapasso, visto attraverso la lente del disperato affetto verso una figura amata, con la quale la voce narrante desidererebbe potersi infine involare lontano, a bordo, appunto, di un metafisico galeone celeste («perché a quanto sembra non siamo soli, così tanti altri passeggeri in cielo / nelle loro vele i venti del desiderio, tutti in cerca dell’altro versante»): e non si può rimanere indifferenti nell’udire la voce di Cave assumere toni quasi disperati nel suo ansioso tendersi verso colui che si è perduto, forse per sempre.

L’intera esibizione si muove così lungo questi binari, alternandosi tra gli inevitabili quanto legittimi aneliti di speranza nel futuro e la nostalgia verso un passato più sereno e semplice; la mediazione tra questi due sentimenti contrastanti porta Nick a un’accettazione quasi cristiana del proprio destino e all’implicita constatazione di come il presente, per quanto difficile, rivesta un’importanza cruciale. Il tutto espresso senza nessun autocompiacimento o retorica, cosicché i molteplici riferimenti al Nuovo Testamento e alla figura di Cristo – quella magistrale combinazione di sacro e profano che da sempre contraddistingue la produzione di Cave – assumono qui un nuovo e più forte significato e rilevanza.

Proprio in questo, in effetti, risiede il senso più intimo e profondo di Idiot Prayer, esemplificato dal fatto che, nelle mani di Nick, perfino una scelta audace come quella dell’esecuzione per sola voce e pianoforte diventa mezzo per la creazione di un vero e proprio capolavoro, inaspettato, e per questo ancor più prezioso, soprattutto in momenti difficili come questi.

Un’ulteriore dimostrazione della profonda, sacra benedizione che la vera musica può rappresentare in qualsiasi circostanza, almeno nelle mani di maestri assoluti come Cave.