Non siamo destinati a convivere con i tratti negativi della nostra personalità: possiamo diventare la versione migliore di noi stessi, modificando gli atteggiamenti che non ci piacciono. Secondo un celebre studio realizzato da Nathan W. Hudson, professore associato di Psicologia alla Southern Methodist University di Dallas, in Texas, e Brent W. Roberts, docente al dipartimento di Psicologia della University of Illinois, la maggior parte delle persone vorrebbe cambiare il proprio carattere, diventando più estroversa, disponibile, emozionalmente stabile, gentile e aperta a nuove esperienze. Il desiderio di essere diversi si basa sull’insoddisfazione che riguarda vari ambiti della vita, dalle amicizie, alla situazione lavorativa e finanziaria, alle proprie passioni. Non sempre, però, è semplice passare dall’idea all’azione: bisogna accettare la fatica, con pazienza, spingendosi fuori dalla «zona di comfort».
Il cambiamento può essere innescato da esperienze intense come la perdita di una persona cara, sopravvivere a un incidente, avere un figlio oppure essere licenziati. Un altro fattore scatenante è quello che lo psicologo Ruy Baumeister chiama «la cristallizzazione del malcontento», cioè la somma dalle frustrazioni che si susseguono negli anni e che a un certo punto – come la goccia che fa traboccare il vaso – appaiono nel loro complesso, portando a vedere con improvvisa lucidità la situazione che non si tollera più.
Gary Small, esperto di neuroscienze e comportamento umano, docente di Psichiatria e direttore del Longevity Center della University of California, Los Angeles, ha dedicato a questo tema un libro appena pubblicato in italiano, La scienza della personalità. Come cambiare quello che non ci piace di noi (Feltrinelli). Coautrice è la scrittrice Gigi Vorgan. Come spiegano i due autori, per molto tempo, psichiatri e psicologi sono stati convinti che la personalità (la somma dei tratti che compone il nostro carattere e definisce chi siamo come individui) si formasse nella prima infanzia e non potesse cambiare. «Tuttavia le ultime evidenze scientifiche contraddicono questa tesi. Nuove e convincenti prove dimostrano che possiamo evolvere – da soli, con il supporto di un terapeuta o con una combinazione delle due soluzioni – in un breve lasso di tempo, anche di soli trenta giorni».
Gary Small ha ideato il Metodo Cpas, acronimo di Considerare, pianificare, agire e sostenere. Secondo lo psichiatra, con la giusta motivazione, la maggior parte delle persone è in grado di procedere attraverso le quattro fasi del Cpas e raggiungere i propri obiettivi, che possono andare dall’avere più cura del proprio fisico (con un’alimentazione sana ed esercizio fisico regolare), al miglioramento delle relazioni, al diventare più assertive.
Si può avere molto più controllo della propria personalità di quanto si creda. Infatti, il peso dei fattori ereditari, cioè la proporzione del carattere che si «prende in dote» dai genitori, oscilla fra il quaranta e il sessanta percento, a seconda dello specifico tratto considerato. Resta quindi, in media, un cinquanta per cento di margine sul quale agire.
La scienza della personalità alterna pagine di approfondimento a consigli e test per capirsi meglio, analizzando i tratti che compongono l’indole, riconducibili a cinque «grandi categorie»: estroversione, apertura mentale, stabilità emotiva, gentilezza e coscienziosità. La nostra individualità è determinata dal modo in cui ci collochiamo nello spettro di queste categorie. Migliorare non significa stravolgersi, con estenuanti lotte interne, ma imparare a valorizzare la propria complessità, «aggiustando» gli aspetti che impediscono una piena affermazione di se stessi.
Consideriamo l’introversione, ad esempio: non è una caratteristica negativa in sé, perché rende più riflessivi, porta a trascorrere tempo da soli, dedicandosi alla lettura e ad attività creative. Ma l’introversione esaspera i dialoghi interiori e le elucubrazioni mentali, rendendo socialmente goffi, snob o maleducati. Per aggirare l’ansia sociale, gli introversi tendono a mimetizzarsi, facendosi notare poco anche nelle situazioni da cui potrebbero trarre beneficio, faticano a fare nuove amicizie, a uscire e a sviluppare relazioni. Come suggeriscono Gary Small e Gigi Vorgan, se si è penalizzati dall’introversione, ci si può ammorbidire socializzando, compiendo piccoli passi per volta, anche quando non se ne ha molta voglia. Non serve andare a una festa con venti persone, ma fissare un obiettivo più modesto, magari incontrando una o due nuove persone, in compagnia di un amico. Ci si può anche sforzare di parlare a voce, al telefono, invece di mandare sempre e-mail e messaggi scritti.
Un tratto della personalità che è auspicabile coltivare è la gentilezza, anche se è bene non esagerare perché altrimenti si rischia di venire «sfruttati» dagli altri. Le persone gentili tendono a essere amichevoli, disponibili e affidabili: è per questo che si ha piacere a stare con loro. I genitori gentili sono motivatori e in grado di trasmettere calore e sostegno, il che aiuta i figli a sentirsi al sicuro. La gentilezza, inoltre, rafforza le relazioni e il fatto di poter contare su legami sociali più solidi è collegato a una migliore salute e a una maggiore longevità. Per riuscire a diventare più cortesi, si può imparare a esprimere disappunto senza cadere sul personale, senza attaccare gli altri. Un altro suggerimento è imparare a perdonare. Lasciare andare i rancori riduce lo stress e fa sentire più positivi. Infine, con l’empatia si riesce a comprendere meglio il punto di vista di chi ci circonda, liberando i risentimenti e sentendosi più vicini agli altri.