Se c’è un esercizio particolarmente inutile con il volgere dell’anno, è quello dei bilanci e delle classifiche. Inutile perché non strettamente produttivo, inutile anche perché sorretto dall’arbitraria convenzione che ci fa cambiare calendario poco dopo il solstizio d’inverno. Ma siccome l’ambito dell’espressione artistica è – e sempre dovrebbe restare – il regno dell’inutilità, del non-spendibile, addirittura del puro, non ci sottraiamo al piacere di cercare nella produzione discografica del 2017 (sì: esiste ancora, e pure gode di buona salute) il meglio, l’ottimo, il discreto e il peggio.
Il meglio: Benjamin Clementine – I Tell A Fly
Non succede quasi più che un disco sia realmente atteso, cioè che un’ampia comunità si svegli un giorno sì e uno no chiedendosi «chissà cosa starà facendo quel musicista, chissà a quali nuove idee sta lavorando». Una delle eccezioni più vistose e virtuose in tal senso è stata rappresentata – perlomeno nell’ultimo biennio – da Benjamin Clementine, e più precisamente da quel marzo 2015 in cui diede alle stampe At Least for Now: primo e travolgente album di un autore/performer poco più che ventenne. Poesia e stile, delicatezza e viscere, sfrontatezza e controllo, pop, rock e classica: questi erano alcuni degli elementi dialettici e germinali del primo disco, che puntualmente si sono ripresentati – e pure amplificati – nel recente I Tell A Fly. Indescrivibile, inetichettabile. (E, tangenzialmente, era da un po’ che non capitava di sentire un clavicembalo usato in modo così intelligente, nel contesto della una canzone pop).
L’ottimo: Bologna Violenta – Cortina
Bologna Violenta – l’alias artistico del polistrumentista e compositore Nicola Manzan – è da anni un punto di riferimento nella scena underground internazionale. Violenza e disagio urbano sono alcuni degli elementi riconosciuti alla sua poetica, etichettata come «grindcore destrutturato, con una fortissima componente elettronica, industrial e hardcore». Un’evoluzione estrema del metal strumentale, quindi, con pezzi spesso molto brevi, molto veloci, molto incisivi. Con Cortina Manzan compie un ulteriore passo avanti, scarnificando ulteriormente gli arrangiamenti e portando in primo piano lo strumento di cui è incontestabile virtuoso: il violino. Ecco: se qualcuno si chiedesse cosa avrebbe potuto fare Niccolò Paganini nella nostra contemporaneità, ascoltando Bologna Violenta troviamo una delle risposte più convincenti.
Il discreto: Gianni Maroccolo – Nulla è andato perso
Non è un disco brutto, anzi, ma a renderlo solamente discreto è il sottotesto nostalgico che lo accompagna. Nulla è andato perso è il racconto del tour del 2016 con cui Gianni Maroccolo ha proposto le canzoni dell’album Vdb23 realizzato assieme al compianto – e indefinitamente geniale – Claudio Rocchi. Se c’è un dato caratterizzante, a dir poco unico, nella personalità artistica di Gianni Maroccolo è proprio quello di essersi sempre prestato con notevoli esiti a progetti anche molto diversi: Litfiba, CCCP, Consorzio Suonatori Indipendenti, Marlene Kuntz, Timoria, Diaframma e Bandabardò. E il problema è forse proprio qui: Nulla è andato perso è un percorso proiettato quasi esclusivamente nel passato – con brani propri o di autori amati – in un tacito consenso attorno all’idea che un tempo tutto era meglio. E non a caso i nostalgici degli anni Novanta hanno gridato al capolavoro, ma purtroppo i Novanta son finiti da quasi vent’anni.
Il peggio: U2 – Songs of Experience
Invecchiare nel rock’n’roll non è certo facile. Forse perché la mitologia del genere ha visto morire i propri eroi (quasi) sempre giovani e belli, forse perché il nervo di novità e ribellione iscritto nel DNA rock difficilmente si sposa con il successo e la maturità antropologica. Sting – per fare il primo nome che viene alla mente – a invecchiare c’è riuscito benissimo, gli U2 decisamente meno. Il gruppo irlandese continua a confinarsi in un ideale rock (di rottura, ma anche pop) che – appunto – ormai è solo una loro idea. E lo stato di confusione poetica e creativa – che porta a risultati patinati di piatto conformismo – è rivelato anche dalle ventotto (28!) persone accreditate alla produzione artistica. Sono purtroppo lontanissimi i tempi in cui per produrre un capolavoro era sufficiente rivolgersi a Brian Eno o a Daniel Lanois.